Neuralink: è davvero etico collegare il cervello umano a un computer?

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“Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto”. Così inizia uno dei romanzi simbolo della mitologia cibernetica moderna, Neuromante di William Gibson, che racconta l’avventura di un hacker, un “cowboy della consolle”, di nome Case che accetta una misteriosa missione, forse suicida, in cambio di una cura per il suo sistema nervoso danneggiato che non riesce più a collegarsi con la rete informatica, la “matrice”. Era il 1984 quando questa storia fu pubblicata e, oggi, dopo quasi quarant’anni sembra che possa diventare realtà.

Nella mitologia gibsoniana i “cowboy” possono connettersi direttamente alla rete tramite dei deck tecnologici che ricordano, nella descrizione, i moderni visori per la realtà virtuale/aumentata come le Hololens di Microsoft o l’ultimo (e, in verità, tardivo) Vision Pro di Apple ma già altri autori come Masamune Shirow nel quasi contemporaneo Appleseed e, soprattutto, nell’iconico Ghost in the Shell del 1991 andarono oltre ipotizzando il collegamento diretto del cervello umano con le macchine tramite degli impianti neuronali.

Qui entra l’idea di Elon Musk e della sua Neuralink. Solo qualche settimana fa, l’azienda del patron di Tesla, ha avuto l’autorizzazione della Food and Drugs Administration per testare gli impianti cerebrali sugli esseri umani. Ma cosa sono questi impianti?

In pratica l’obiettivo di Neuralink è sviluppare delle interfacce fra il computer e il cervello (BCI – Brain Computer Interface) che permettano di decodificare gli impulsi elettrici del cervello e di comunicarli direttamente a dei dispositivi esterni. Questo può avere degli importanti risvolti medici sia per la cura di malattie neurodegenerative sia per permettere di bypassare delle lesioni nervose o mettere in collegamento diretto il cervello con delle protesi bioniche ma, ovviamente, potrebbe anche essere la porta di accesso a un mondo cibernetico permettendo di collegare direttamente il cervello alla rete informatica.

Mentre a livello hardware l’idea dell’impianto non sia assolutamente nuova, infatti dispositivi simili sono già in uso da decenni con gli impianti cocleari che permettono di ridare l’udito a quelle persone affette da sordità alle quali le comuni protesi acustiche non avrebbero effetto e quindi si tratterebbe di tecnologia medica già perfettamente rodata, a livello di implicazioni etiche la questione potrebbe non essere affatto così lineare.

In uno degli esperimenti condotti da Neuralink si vede, infatti, un macaco giocare a un videogioco (Pong per la precisione) senza usare nessun tipo di joystick ma muovendo il cursore solo con il pensiero. Che implicazioni potrebbe avere tutto questo, è la domanda che sorgerebbe a chiunque in questo momento. La risposta non è affatto banale anche perché si potrebbe collegare al dibattito sull’intelligenza artificiale che si è aperto in questi ultimi tempi.

Recentemente, alla VivaTech Conference 2023, lo scienziato capo di Meta Yann LeCun ha spiegato che, a oggi, l’intelligenza delle AI Generative non sia capace di comprendere le sfaccettature della realtà limitandosi a reinterpretare i testi che riesce a reperire dal database, in pratica anche applicando i livelli più elevati di machine learning questi non sarebbero sufficienti a permettere alle macchine di svolgere anche le azioni più basilari come, ad esempio, riordinare degli oggetti.

Il professor Marcello Pelillo dell’università di Ca’ Foscari, qualche tempo prima, ha parlato più approfonditamente dei limiti dei nuovi sistemi di intelligenza artificiale assurti agli onori di cronaca in questi mesi in un’intervista. L’immagine di ChatGPT, infatti, viene riportata a un livello meno dirompente di quanto presentato finora e sicuramente più rassicurante rispetto agli allarmi lanciati negli ultimi tempi.

La descrizione del sistema lo mostra come molto meno innovativo di quanto sembri seppur magistralmente confezionato in una perfetta operazione commerciale: l’intelligenza artificiale, come detto anche da LeCun è priva di senso critico ed è incapace di giungere a una comprensione profonda degli argomenti limitandosi a unire in maniera logica e coerente pezzi di testo provenienti da una biblioteca sterminata. La sensazione di intelligenza, quindi, è perfettamente simulata ma prova di quel qualcosa che differenzi l’elaborazione di un concetto da parte di un essere umano rispetto alla ripetizione pedissequa degli ordini previsti da un algoritmo.

Cosa succederebbe, però, se si interfacciasse un cervello umano con una macchina dotata di un sistema di intelligenza artificiale? È vero che Neuralink, ufficialmente, non nasce per questo ma, come già indicato sopra, in ambito medico ma la possibilità di interazione con le macchine mostrata dalla cavia che giocava a Pong rivela che le potenzialità di questo collegamento neurale siano molto più elevate di quanto si racconti.

Come già accennato, gli amanti della fantascienza, soprattutto di quella a fumetti, ricorderanno sicuramente personaggi come Motoko Kusanagi, apparsa in Ghost in the Shell, o Helena Svensson, protagonista della miniserie Hammer, che potevano collegare il proprio cervello alla rete informatica e accedere direttamente al cyberspazio per navigare, cercare informazioni e, perché no, violare anche i mainframe delle aziende o degli enti governativi.

In prospettiva la possibilità di unire l’intelligenza umana a quella artificiale potrebbe rendere molto più semplice la possibilità di comunicare con le macchine e di programmarle, spingendo ancora più in là l’immaginazione si potrebbe anche ipotizzare la creazione di veri ibridi biomeccanici (e qualcuno ricorderà così anche i mostri di Mikenes del Mazinger di Go Nagai, erroneamente fatto passare per un programma per bambini a inizio anni 80, o i Borg della saga di Star Trek). Sicuramente lo sviluppo di tecnologie come quella di Neuralink aprono le porte a un mondo nuovo, a una nuova prospettiva di sviluppo oltre che alla possibilità di curare patologie invalidanti come le paresi, ad esempio, ma sono portatrici di dilemmi etici che occorrerà affrontare.

Non solo il possibile estraniamento dalla realtà e la dipendenza che un collegamento diretto con il mondo elettronico e virtuale possa provocare in futuro ma anche l’idea che, un giorno, si possa arrivare alla fusione tra uomo e macchina o allo sviluppo di cervelli clonati da interfacciare alle macchine per renderle intelligenti, come già raccontato in passato da numerosi autori fantascientifici, non sono scenari impossibili ma sviluppi realistici che non possono essere ignorati.

Papa Giovanni Paolo II, una volta, affermò che “il futuro inizia oggi, non domani” e, forse, quello a cui stiamo assistendo a livello tecnologico è la prova di quanta verità ci sia in quella frase.