La sVentura azzurra

Punto e a capo. E adesso tutti a casa. Abbiamo toccato il fondo, siamo naufragati nel mare dell'illusione. Era stata definita l'Apocalisse, una tragedia, chiedendo scusa perché nella vita le tragedie sono altre, ma l'amaro risveglio del calcio italiano ci riporta indietro di qualche anno, ad una tragedia del mare che si poteva e doveva evitare. L'Italia del pallone come la Costa Concordia, Francesco Schettino come Gian Piero Ventura, lo scoglio del Giglio come la Svezia. Paragone irriverente, si potrebbe dire. Forse. Ma Ventura si è dimostrato un po' come Schettino, ha abbandonato la nave prima del naufragio, rifiutando l'intervista a caldo con la Rai e arrivando in sala stampa a San Siro due ore e passa dopo la fine della partita con gli scandinavi. Ma se la sarebbe evitata non fosse stato per qualche dirigente Figc che lo ha preso per un orecchio e costretto a presentarsi al cospetto degli operatori del settore che stavano lavorando. E che Ventura ha calpestato, come ha calpestato un Paese che non vive di pallone, ma che fa del pallone il suo vanto. Fino a ieri sera. L'Italia è affondata dopo aver cozzato contro lo scoglio svedese, con tutta la sua zavorra, la sua presunzione. Quella di un tecnico che tutti sapevano essere inadeguato per guidare una Nazionale, ma ci siamo illusi che anche un piccolo Ventura potesse bastare quanto meno per battere gli scandinavi e andare al Cremlino.

E invece no, perché anche nell'atto dell'addio, Ventura ci ha voluto sorprendere con effetti speciali. Un allenatore che conosce un solo modulo, che non capisce e non cambia una squadra in corsa, che dal 4-2-4 è passato al 3-5-2 solo perchè voluto dai calciatori, senza però ascoltare le voci d'amore di chi gli suggeriva un atteggiamento meno conservativo e l'impiego di quei calciatori che oggi sono il meglio che produce il nostro campionato. E invece no, non è bastato perché ci ha messo ancora del suo, richiamando calciatori che non hanno mai indossato la maglia azzurra, altri che non giocavano da anni, impiegando i suoi uomini all'esatto contrario delle loro possibilità di espressione. E così Insigne è rimasto in panchina, dentro Jorginho e Gabbiadini, con il primo che si è subito reso conto che non era il Napoli e che la figuraccia era dietro l'angolo, il secondo che l'unica volta che indossò quella maglia da titolare risale a due anni fa, e sulla panchina c'era ancora Antonio Conte. La “Concordia” Azzurra è affondata per colpa di un sistema orbo, che avrebbe dovuto prevenire anzichè curare come dovrà fare adesso.

Tutti a casa, dal capitano di sVentura a chi su quella plancia di comando ce lo ha messo, ovvero il presidente Tavecchio che non ha avuto neppure il buon senso di presentarsi davanti ai taccuini. Oggi sarà il vertice federale a decidere il futuro, segnato, del tecnico, che solo per dignità dovrebbe fare fagotto e andarsene, allontanarsi dai nostri radar. Ha insistito su un modulo che solo lui conosce, ha spaccato una squadra che forse non avrebbe vinto il mondiale, ma che sicuramente dopo il visto per la Russia avrebbe cambiato rotta. Perché la squadra non lo voleva più, perchè in tanti avevano capito che all'orizzonte poteva esserci qualche pericolosissimo iceberg. Da evitare. Invece lo abbiamo preso in pieno. E siamo affondati, con tutti i nostri sogni.

Ci rimette il Pil del Paese e quest'estate niente maxi schermi, niente cene all'aperto, nessuna notte magica. Non ce la siamo meritata. E a casa pure Tavecchio che sicuramente non scenderà dal piedistallo, ma per lui dovrà scegliere il presidente Malagò che non può tollerare oltre questo scempio. Conte ci aveva illusi, Ventura ci ha riportati sulla terra, le due facce della stessa medaglia della gestione Tavecchio. Con lui deve andare a casa la vecchia nomenclatura perché il nostro calcio va rifondato. Meno stranieri, più italiani, rilanciamo i vivai dove per colpa di presidenti col braccino corto, abbiamo importato tanti di quegli extracomunitari da far invidia agli sbarchi a Lampedusa. Solo un anno fa abbiamo devastato la Spagna a Euro 2016. Un anno dopo ci hanno asfaltato con i loro prodotti di ultima generazione, i giovani di qualità coma Isco, Vazquez e Asensio. I nostri giovani sono lì a marcire lontani dai giochi che contano, perché costa troppo investire sui giovani di casa. Per questo dobbiamo cambiare, con gente nuova, giovane, che sappia di calcio, con un progetto vero da portare avanti negli anni. E poi si sceglieranno i tecnici e tutti dovranno essere propedeutici al progetto.

C'è un'onta troppo grande da cancellare, le lacrime di Buffon, capitan coraggio, gli altri addii, scontati, di Barzagli e De Rossi, forse di Chiellini. Si chiude un ciclo che ci ha portato sul tetto del mondo, da Lippi a Conte che con la loro personalità hanno dato fiato ai sogni azzurri. Poi la sVentura si è abbattuta sul calcio italiano. Oggi qualcuno ci prende in giro, a cominciare dai tedeschi, che hanno festeggiato la nostra eliminazione. L'ultimo amico va via, cantava Califano, sono gli eroi di Berlino che uno ad uno ci sono sfilati davanti ieri sera con gli occhi bagnati dalle lacrime. E all'ultimo, raccomandiamo bene di chiudere quella porta perché come in tutte le storie, se non si impara nulla da una sconfitta significa che se ne merita un'altra. E allora tutti a casa, ricominciamo, almeno questa enorme tragedia per il nostro calcio, non sarà stava vana.