L’importanza degli allarmi Oms per bloccare nuove pandemie

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L’importanza di focalizzare l’attenzione sulla lista di allarmi dell’Organizzazione mondiale della sanità è stata confermata dalla segnalazione, da parte delle autorità sanitarie cinesi, di un focolaio di polmonite atipica grave nella città di Wuhan, segnalando così l’emergenza di un terzo virus patogeno zoonotico della famiglia Coronavirus, di cui già il 10 gennaio 2020 è stato sequenziato l’intero genoma. L’omologia con SARS-CoV e l’affinità per i recettori ACE2 hanno consentito la denominazione di SARS-CoV-2 e la previsione di una potenziale diffusione epidemica, già inizialmente sostenuta dalla dimostrazione di una trasmissione interumana nel personale di assistenza dell’Ospedale di Wuhan con la morte del medico, il dottor Li Wenliang, che per primo segnalò la nuova malattia com’era avvenuto per il SARS-CoV (che era costato la vita a un medico infettivologo italiano, Carlo Urbani, in Vietnam).

L’indice di letalità nella casistica cinese è inferiore rispetto alla SARS, dell’ordine del 4,2%, ma l’allarme internazionale è stato da subito molto più elevato per la dimostrazione di una rapida diffusione globale, con un numero crescente di casi rilevati in Medio Oriente (prevalentemente in Iran) e, presto, in Europa, tanto che l’11 marzo 2020 l’OMS ha dichiarato lo stato di pandemia, essendo stati registrati casi in tutti i continenti: in vari Paesi dell’Asia e poi dell’America del Nord e del Sud, in Africa e in Australia. Il raffronto fra COVID-19, SARS, MERS e le pandemie influenzali del 1918 e del 2009 ci consegna un quadro in cui si evidenziano analogie ma spiccano anche alcune importanti marcate differenze. In sintesi COVID-19 presenta un indice di trasmissibilità R0 (in assenza di interventi di contenimento) medio di 2,5, nettamente più elevato rispetto all’influenza 1918 (indice R0 = 2,0) e 2009 (indice R0 = 1,7), un periodo di incubazione più protratto (4-12 giorni vs 2 giorni per l’influenza), una prevalenza di casi di malattia lieve non necessitante di ospedalizzazione simile all’influenza ma un quoziente nettamente più elevato di casi di malattia grave necessitanti di ricovero in terapia intensiva rispetto all’influenza e, soprattutto, un’incidenza nettamente inferiore di malattia e di letalità nei bambini e nei soggetti con età inferiore a 65 anni (0,6-2,8%) rispetto alle pandemie influenzali (in cui queste classi di età figurano nell’80-95% dei casi).

Si evidenziano pertanto numerosi punti di contatto fra influenza pandemica e COVID-19. E cioè la presenza come elementi patogenetici chiave di spikes sulla superficie virale (nei virus influenzali la presenza di glicoproteine H e N come punti di attacco a recettori dell’acido sialico, codificati dal genoma RNA). Gli aspetti diagnostici: diagnosi diretta mediante tamponi molecolari PCR, test rapidi antigenici e diagnosi indiretta sierologica. Test combinati per COVID-19 e influenza potranno essere introdotti utilmente nella routine nelle prossime stagioni influenzali. La trasmissibilità aerogena: droplets, aerosol ma anche fomiti e veicoli (mani). La persistenza in condizioni di latenza in numerosi serbatoi naturali animali. La potenzialità epidemica (aumento della mortalità) e pandemica (diffusione globale) sostenuta da caratteristiche di contagiosità e virulenza (regolate da aspetti genetici distinti), di suscettibilità dell’ospite, di adattamento del virus all’ospite. La risposta immunitaria: mucosale (IgA), rappresentata da anticorpi neutralizzanti protettivi; sierica (IgG, IgM), rappresentata da anticorpi inibenti. Cellulare T linfocitaria. L’esaltata risposta immunitaria (“tempesta citochinica”), responsabile della gravità delle malattie. Gli aspetti clinici, primitivamente respiratori con presenza di sintomi sistemici subentranti nelle forme di malattia grave. L’extramortalità prevalentemente cardiocircolatoria. La prevalenza elevata di infezione asintomatica, paucisintomatica e di malattia lieve. La frequente emergenza di mutazioni e di “varianti” virali.