Calcio, da gioco più bello del mondo a business

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Foto di Markus Spiske su Unsplash

Era il 4 maggio del 1949, quando l’aereo che riportava in Italia la squadra del Torino da Lisbona dove aveva disputato un’amichevole, si schiantò contro un muraglione della Basilica di Superga. Morirono 31 persone, l’intera squadra del Torino, prossima alla conquista del suo quinto scudetto consecutivo. Fu la fine del Mito, della squadra degli Invincibili. Ed è proprio nel ricordo di questa meravigliosa formazione, che la Fifa ha istituito il 4 maggio la Giornata Mondiale del Gioco del Calcio, nel ricordo dei calciatori che persero la vita a Superga. Un’occasione particolare per la Fifa che in questa giornata intrisa di tristezza, coglie l’occasione per promuovere quelli che da sempre sono i valori che contraddistinguono il gioco del calcio, ovvero l’amicizia tra i popoli , l’inclusione sociale ed il fair play.

Erano altri tempi, quelli del Grande Torino, e probabilmente lo erano fino a qualche decennio fa quando il calcio era ancora lontano dall’attuale business core. Innegabile che gli interessi economici hanno sempre avuto una rilevanza fondamentale per i club, ma il calcio di oggi è sempre più industria, pur avendo mantenuto, in parte, intatti i connotati del gioco più bello del mondo. Guardi Real Madrid-Manchester City e non puoi che rimanere ammaliato da una sfida che ha rappresentato il miglior spot per il calcio del Vecchio Continente. Emozioni, gol, spettacolo, gli ingredienti ci sono tutti, ma al tempo stesso dai un’occhiata alle formazioni e non serve un laureato in economia per comprendere il giro di miliardi che sono in campo. Il calcio è cambiato, come tutta la vita. Una volta non c’erano telefonini, poi sono arrivati i primi apparecchi, per pochi fortunati, e oggi con uno smartphone apri a distanza il cancello di casa o accendi il riscaldamento. E’ il segno dei tempi che cambiano, com’è cambiato il calcio dopo la sentenza Bosman del ’95 che di fatto ha modificato lo status del calciatore, che ha acquisito maggior potere, e al tempo stesso costretto i Club ad esborsi economici faraonici. Un gioco al rialzo che ha portato gli stessi Club a cercare maggiori profitti.

In Europa si è investito molto negli stadi di proprietà che rappresentano il futuro ma soprattutto una solida base di entrate economiche. Il Real Madrid, per rifare il Bernabeu, ha investito 1,76 miliardi di euro. Cifra folle, ma non troppo, perché il Real ha intenzione di sfruttarlo per 365 giorni all’anno affittandolo per qualsiasi tipo di evento in modo da avere un ingente ritorno economico. E allora ecco il calcio business, costretto dall’incalzare del tempo che non si ferma. Indietro non si può più tornare. Qualcuno può storcere il naso, davanti alla povertà che è viva in ogni angolo del mondo, ma non si può più scendere dal carrozzone. Si potrebbe fermare l’inflazione calcistica, a patto lo facciano tutti, ma i ricchi continueranno a fare i ricchi, gli altri dovranno solo adeguarsi, fermo restando che il passo più lungo della gamba porta al fallimento.

Eppure, nonostante tutto, è rimasto anche un certo romanticismo. Rimanendo in casa nostra, il ricordo va all’ex romanista Florenzi che dopo un gol, scavalcò il recinto dell’Olimpico per andare ad abbracciare la nonna in tribuna, oppure il recente gesto del bolognese Orsolini che a fine partita ha portato la nonna sul terreno di gioco, abbracciandola, commuovendosi. Perché il calcio, a dispetto dei tanti miliardi che girano, è anche passione, ed è di chi lo ama. E questo nessuno potrà mai togliercelo.