Fase 3, tra crisi e incertezza: è l’ora dei piani concreti

La storia si ripete due volte secondo Karl Marx, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Una visione addirittura ottimistica per Paul Krugman, per il quale anche la seconda è in forma di tragedia. Senza entrare nello specifico della disputa un punto risulta evidente ovvero che, seppure con diverse modalità, effettivamente la storia si ripete più o meno sempre come ella stessa insegna.

Non si tratta di una questione secondaria poiché se l’assunto ha fondamento, dovremmo chiederci se è possibile che gli effetti dell’ultima pandemia, che certo non possiamo ancora collocare alle nostre spalle neanche per quanto concerne gli aspetti sanitari, saranno uguali a quelli conseguenti alle epidemie del passato che, nella loro drammaticità, hanno prodotto anche dei risultati positivi come la riduzione delle disuguaglianze.

Così è avvenuto, tanto per fare un esempio, dopo la peste del XIV e del XVII secolo allorquando, soprattutto nel settentrione del nostro Paese, alla malattia hanno fatto seguito decenni di benessere e ricchezza.

Tuttavia, le peculiarità di quest’ultima epidemia inducono a ritenete che questa volta le cose potrebbero andare diversamente. E considerando che siamo nel 2020, quindi in una era più progredita e moderna rispetto a quelle nelle quali sono state vissute esperienze analoghe, dobbiamo fare il possibile per raggiungere risultati migliori.

Nelle esperienze passate, lo stratosferico numero dei decessi (si stima che la peste nera del ‘300 abbia causato la morte di circa un terzo della popolazione europea, colpendo indifferenziatamente persone di ogni fascia di età anche se prevalentemente i giovani) si ribaltava in modo rilevante sulla forza di lavoro determinando una implementazione della domanda occupazionale. Oggi, che fortunatamente vi è una ben più contenuta mortalità, dobbiamo individuare soluzioni per arginare la crescita galoppante della disoccupazione che colpisce soprattutto fasce di popolazione in piena età lavorativa.

Non solo; a ciò si aggiunga che il progressivo inevitabile indebitamento dello Stato, penalizzerà soprattutto la generazione dei più giovani e, diciamolo pure con franchezza, più le donne che gli uomini, una condizione che potrebbe determinare l’implemento del divario di genere e quindi il rischio di vanificare le sofferte conquiste culturali e sociali delle donne. D’altra parte, molte delle attività lavorative più colpite dalla crisi, come quello del settore dei servizi, sono ad appannaggio di queste ultime che peraltro, come se non bastasse, sono sempre più vittime delle violenze domestiche che, secondo gli studiosi della materia, sono in forte aumento a causa dell’incertezza economica e dello stress indotto anche dalle misure di confinamento. Un pericolo la cui gravità è comprovata dall’appello del Segretario Generale delle Nazione Unite, Antonio Guterres, per arginarlo e prevenirlo.

Ecco quindi che oltre alla riapertura di tutte le attività industriali e commerciali e, in parte, culturali, per salvaguardare il futuro del Paese è necessario superare definitivamente la fase delle valutazioni estemporanee sulla crisi prodotta dalla pandemia e attuare un programma di lungo termine, strutturato su poche e chiare regole. Inutile dire che essendo ancora lungo il percorso per giungere ad archiviare le problematiche sanitarie, è evidente che l’estemporaneità deve essere bandita innanzitutto dalla comunità scientifica la quale per contro è tenuta a costruire solide e credibili analisi che possano dare risposte alle numerose questioni ancora aperte, tra le quali le modalità della diffusione del virus e le ragioni delle rilevanti differenze del numero dei contagi e dei decessi nei diversi Paesi e nelle regioni italiane.