Difendere l’indifendibile

vaccarellaArriva da Napoli l’ultima, atroce storia di “bullismo”, ammesso che questo termine a volte abusato dai media sia ancora sufficiente per raccontare la violenza bestiale subita dalla vittima, un ragazzino quattordicenne di Pianura. Vessato perché obeso, perseguitato dai ragazzi più grandi, “sei grasso”, l’accusa feroce. Per questo, solo per questo sequestrato dentro un autolavaggio e violentato con un tubo d’aria compressa di quelli usati per gonfiare le gomme – un getto talmente potente da lacerargli l’intestino – ricoverato in condizioni gravissime in ospedale. Fin qui la cronaca nuda e cruda di un crimine orribile che giustamente gli investigatori hanno qualificato come tentato omicidio: la vittima tuttora lotta per la vita, spiega una zia in lacrime.

C’è però anche dell’altro, dietro questa notizia già di per sè allucinante, c’è anche l’atteggiamento dei familiari di uno degli aggressori, un giovane di 24 anni, l’unico finito in manette. Intervistati subito dopo il fatto, i parenti difendono a spada tratta il loro congiunto: “E’ stata una bravata – urlano alle telecamere gli zii – è un bravo ragazzo, voleva solo fare uno scherzo”. La tensione fra i due gruppi è salita al punto che nel pomeriggio sono stati necessari i carabinieri per separare le famiglie in cerca di giustizia sommaria, di vendetta reciproca. “Hanno fatto una enorme stupidaggine ed è giusto che tutti quelli che vi hanno preso parte paghino – ammette un familiare del ventiquattrenne – ma che paghino il giusto. Non è un tentato omicidio né altro, sono tutti bravi ragazzi che si prendevano in giro tra loro. Non hanno capito che il compressore, con quella potenza, avrebbe fatto danni. Per loro era un gioco”.

Pare di risentire l’eco, dietro queste voci di parenti, di quegli amici e di quei genitori che pochi giorni fa, in tutt’altro scenario, a Roma, difendevano un altro “bravo ragazzo”: il diciassettenne che ha ucciso a calci e pugni un ragazzo pakistano di 28 anni a Torpignattara. “Mi ha sputato – aveva raccontato il ragazzo ai carabinieri che l’avevano arrestato – gli ho solo dato un pugno e cadendo a terra ha sbattuto la testa”. Una versione che non ha retto all’autopsia, secondo cui invece lo straniero è stato colpito più e più volte dall’adolescente, letteralmente massacrato di botte. Pochi giorni dopo, ecco la conferma di come certi ambienti familiari, invece di stemperare, di insegnare qualcosa, se del caso di punire, invece gettino solamente benzina sul fuoco: anche il padre del presunto assassino è stato indagato per favoreggiamento in omicidio. Raccontano alcuni testimoni che l’uomo addirittura dal balcone avrebbe incitato il figlio a colpire il pakistano più forte e che una volta sceso in strada dopo l’omicidio avrebbe minacciato i presenti: “Fatevi i fatti vostri”, avrebbe detto.

Nell’uno e nell’altro caso, in attesa che le indagini chiariscano come sono andati davvero i fatti, la presunzione d’innocenza impone di essere prudenti. Certo è però che parole di pietà per la vittima avrebbero forse aiutato, come anche parole di rimprovero e condanna per i propri figli, o quanto meno di dubbio sul loro comportamento. Nulla di tutto questo, in un’epoca di “bullismo” talmente feroce da sfociare nell’omicidio a sangue freddo. Solo un gioco, uno scherzo. Ma con la benedizione dei padri.