Covid, ecco perché adesso Omicron 5 è la variante più pericolosa

La presenza di nuove varianti potrebbe condizionare la possibile crescita dei contagi, così come è avvenuto in altri paesi, ad esempio il Portogallo, dove la variante Omicron 5 è attualmente al 38%. L’esperienza di quanto avvenuto in passato a seguito della comparsa di nuove varianti deve indurre alla prudenza, nonostante l’elevato numero di vaccinati molti dei quali hanno effettuato la terza dose, dal momento che è ben nota la capacità di queste nuove varianti (Omicron 4 e 5) di eludere la protezione post-vaccino e post-infezione. A questo proposito, si segnala che nei paesi dove stanno circolando sono responsabili di re-infezioni in chi aveva già sofferto di Omicron 1 e 2.

La previsione che la circolazione di queste varianti avrà un possibile impatto a partire dal prossimo autunno dovrà essere attentamente analizzata attraverso il monitoraggio della situazione epidemiologica delle prossime settimane, tenendo conto anche che, in estate si vive di più all’aria aperta, riducendo così il rischio di contagio, ma al tempo stesso sono maggiori gli spostamenti sia in Italia che all’estero e per questo maggiori sono le occasioni di esposizione al virus.

Dopo 10 settimane consecutive di calo della curva dei contagi, in questi ultimi sette giorni si è notata una battuta di arresto di questa discesa ed un accenno ad un lieve aumento dei contagi (che a Milano, pur con numeri ancora contenuti, sono quadruplicati), anche se al momento non sembra ci sia un effetto sui ricoveri in area medica ed in terapia intensiva che continuano a diminuire. Questa situazione epidemiologica andrà attentamente monitorata nelle prossime settimane, in relazione anche all’annunciato ulteriore allentamento a breve delle misure di prevenzione ed all’eventuale impatto che questo potrà determinare sui contagi. In particolare, bisognerà attentamente considerare la circolazione delle nuove sotto varianti Omicron 4 e soprattutto Omicron 5, già presenti in altri paesi, che hanno mostrato una maggiore capacità di trasmissione rispetto alle precedenti varianti.

Attualmente la presenza di Omicron 5 in Italia, secondo i dati estrapolati dalle sequenze presenti nei data base, è aumentata da inizio maggio ad oggi, passando da 0,4% a 13%. Intanto la condizione chiamata “nebbia nel cervello” è emersa come uno dei sintomi più debilitanti del Long Covid e colpisce miglia di persone globalmente, con impatto sulla capacità di lavoro e nella vita quotidiana.

Ora un gruppo di scienziati australiani dell’Università La Trobe di Melbourne si avvicina a svelare il mistero della persistente condizione che può fa scattare perdita di memoria, confusione, vertigini e mal di testa, con difficoltà a ricordare parole di uso comune. I risultati dello studio, appena pubblicati su Nature Communications, suggeriscono che vi possano essere precisi paralleli fra gli effetti del Covid-19 sul cervello e i primi stadi di malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson. Come parte dello studio, i ricercatori guidati dal professor Nick Reynolds, dell’Istituto di Scienza Molecolare dell’università stessa, ha usato algoritmi informatici per identificare minuscoli frammenti di proteine, detti peptidi, nel virus SARS-CoV-2. Hanno poi studiato i peptidi in laboratorio, osservando che avevano formato aggregazioni, rispecchianti le placche amiloidi che si trovano nel cervello nelle prime fasi di malattie neurodegenerative. «Tali placche amiloidi sono molto tossiche per le cellule cerebrali e noi ipotizziamo che gli aggregati di proteine di SARS-CoV-2 possano far scattare sintomi neurologici nel Covic-19 descritti communente come annebbiamento cerebrale», scrive il professor Reynolds. Se questo sarà confermato in studi futuri, si ritiene che farmaci sviluppati per combattere l’Alzheimer e il Parkinson potrebbero essere adattati per trattare i debilitanti sintomi neurologici del Long Covid. Se l’annebbiamento cerebrale è causato da queste placche amiloidi, allora possiamo contare su 30 anni ricerca farmacologica per le malattie neurodegenerative che può ora essere riesaminata nel contesto del Covid-19.