BrExit, quale futuro per l’Ue

Si avvicina il giorno del referendum sulla cosiddetta BrExit, cioè sulla consultazione popolare con cui i cittadini del Regno Unito si esprimeranno sulla permanenza o meno nell’Unione Europea. I giornali e i media in generale, sono pieni di numeri e di opinioni discordanti su quanto avverrà il 23 giugno ma una cosa è certa, in caso di vittoria del SI il continente non sarà più come lo abbiamo conosciuto finora. Non è una questione di ascoltare o meno le minacce di Wolfgang Schaeuble sulla possibilità di accedere ai mercati continentali o meno o le sirene sul crollo dell’Euro e gli scenari apocalittici che si verificheranno ma di intravvedere quello che probabilmente succederà.

Sicuramente ci sono dei rischi, anche seri, soprattutto sui mercati finanziari, visto che Londra è la piazza azionaria europea più importante, così come il costo vivo del mantenimento delle istituzioni europee diverrà più cospicuo per gli Stati membri, solo l’Italia avrà un esborso aggiuntivo di oltre un miliardo e mezzo di Euro come trasferimento a Bruxelles ad esempio, ma c’è qualcosa che, forse, sta sfuggendo a molti, un qualcosa che è appena sussurrato negli organi di informazione ma che è il vero timore sul futuro che un’uscita dello UK potrebbe segnare per tutto l’impianto comunitario.

L’eventuale BrExit segnerebbe un precedente giuridico importantissimo, di portata forse pari alle parole che i Padri Costituenti vollero nella dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti, quel “Quando nel corso di eventi umani, sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione.”

Il percorso di aggregazione nell’UE è stato indicato a più riprese come irreversibile da diversi esponenti politici che ne hanno occupato le più alte cariche, un’azione di tale portata, da parte di uno degli “azionisti di maggioranza” dell’Unione, mostrerebbe, però, quanto fallace fosse la loro posizione.

Non è una questione di Euro sì o Euro no, neppure di sterile polemica verso una presupposta Unione Sovietica Europea, è la dimostrazione invece che non esiste alcun percorso di aggregazione che non possa essere abbandonato, anche pagando un costo elevato, cosa indubbia, ma che permetterà un nuovo orizzonte su cui ponderare le scelte di politica estera e di politica economica negli anni a venire.

La BrExit potrebbe, quindi, divenire un catalizzatore di nuove uscite, da parte di quei Paesi che stanno mostrando un certo disincanto, per non dire quasi repulsione, verso l’UE e se uno di questi fosse, per scelta o per necessità, un altro degli Stati più rappresentativi (l’Italia, la Francia o, addirittura, la Germania) si potrebbe decretare la fine definitiva al progetto unitario per l’Europa.

Altra ipotesi potrebbe essere che l’abbandono dell’Unione da parte della Gran Bretagna possa divenire uno stimolo per una riforma profonda dell’impianto europeo, decidendo, finalmente, se intraprendere la strada federativa verso degli ipotetici Stati Uniti d’Europa oppure verso un’area strutturata di libero scambio rafforzata da un coordinamento centrale a cui delegare determinate competenze, più o meno quello che dovrebbe essere già oggi ma, probabilmente, con regole più precise e condivise.

Finora si è ipotizzato solamente la vittoria dell’opzione “leave” al referendum del 23 giugno ma, se invece, vincesse il “remain”? Questa non è una possibilità così remota, infatti, poiché lo scarto tra le due opzioni è piuttosto risicato anche se, al momento, pare che l’opinione pubblica sia orientata a votare l’uscita dall’Unione Europea. In questo caso, visto lo scarto assai contenuto tra le due posizioni il peso dei cosiddetti “euroscettici” sarebbe talmente elevato che Bruxelles non potrebbe non tenerne conto e rinegoziare molti punti, diciamo, controversi all’interno dei trattati e delle norme emanate negli ultimi anni.

In definitiva la settimana prossima si assisterà a una data fondamentale per tutti i Paesi membri UE che, qualunque sia il risultato della consultazione, porterà a conseguenze sensibili nei rapporti politici interni e, forse, nella struttura stessa dell’Unione e le preoccupazioni manifestate da esponenti politici e dai mercati finanziari ne sono la riprova anche se non sempre le criticità sono negative, anzi a volte il termine crisi assume uno dei significati derivanti dall’etimo greco krisis che significa anche scelta e opportunità.