Arriva il bonus 110% però…. c’è sempre un “ma”!

bonus

Negli ultimi anni si è assistito alla creazione di vari tipologie di incentivo per la riqualificazione immobiliare, dal primo “bonus” 36% introdotto più di 20 anni fa per la ristrutturazione degli immobili (era la Legge 449/1997, la Finanziaria 1998) all’estensione più recente della detraibilità del 50% per i lavori di recupero edilizio e del 60% per quelli inerenti al risparmio energetico.

Mai, però, si era arrivati anche solo a ipotizzare un bonus fiscale superiore alle spese sostenute, quasi come fosse un iperammortamento, ma è qui che, con il “Decreto Rilancio”, che ci si è spinti per giungere a una detraibilità del 110% sui lavori relativi al risparmio e all’efficientamento energetico degli immobili sul territorio italiano.

Già l’estensione dalle prime alle seconde case rappresenta una novità importante ma la possibilità di ottenere uno sgravio ben superiore alle spese sostenute rende la cosa estremamente allettante, soprattutto se accompagnata dalla riduzione a cinque anni, per tutti, per il rimborso, tramite conguaglio fiscale, e alla possibilità di cedere il credito o al fornitore o a un istituto di credito per poter effettuare i lavori gratuitamente o quasi.

Oddio, gratuitamente, non esiste nulla di gratuito, visto che ogni servizio e ogni agevolazione deve avere delle coperture ad hoc che provengono dalla fiscalità generale, come sempre ricordato su queste pagine, però a livello di percezione la cosa risulta essere assai interessante e anche la socializzazione del costo complessivo potrebbe essere una buona opportunità per accrescere l’utilità generale andando ad aumentare il valore del patrimonio immobiliare degli italiani.

Vediamo, però, cosa prevede questo nuovo “ecobonus”…

Innanzitutto la platea a cui si rivolge è estremamente ampia, infatti è possibile richiederlo sia ai residenti sia ai non residenti, quindi possibile anche per le “seconde case”, basta che posseggano a qualsiasi titolo (proprietà o altro diritto reale) l’immobile in questione, ad eccezione degli edifici unifamiliari non adibiti ad abitazione principale (quindi pur ammettendo appartamenti e villette a schiera non sono ammesse le ville e le case singole dove non sia stabilita la residenza del beneficiario dell’eventuale detrazione). I lavori previsti, poi, sono estremamente variegati e possono essere riassunti come:

  • sostituzione infissi;
  • installazione di caldaie a biomassa e a condensazione, purché di classe energetica A;
  • interventi di coibentazione;
  • riqualificazione totale per poter ridurre del 50/60% le spese di gas e luce;
  • installazione di pompe di calore, caldaie, scaldacqua a pompa di calore, schermature solari, sistemi di building automation, pannelli fotovoltaici e collettori solari per produzione di acqua calda;
  • rifacimento facciate;
  • lavori condominiali di efficientamento energetico;
  • impianti fotovoltaici;
  • messa in stato di sicurezza delle strutture con interventi antisismici;
  • acquisto di accumulatori e colonnine di ricarica per auto elettriche.

Come si vede il bouquet di interventi è abbastanza ampio anche se non necessariamente realmente ecologico (al lettore l’individuazione dei punti critici), cosa che permetterebbe di effettuare diversi lavori oggettivamente utili nella riqualificazione del patrimonio immobiliare italiano che, spesso, versa in condizioni piuttosto precarie, soprattutto nelle zone periferiche delle città o nei paesi più decentrati, diciamo. Fin qui sembrerebbe tutto magnifico e l’idea portata dall’attuale maggioranza di governo prodromica a un rilancio del settore edilizio che, non è un mistero, da anni versa in condizioni critiche sia per i costi di acquisto e restauro, nonostante gli incentivi, sia per il carico fiscale che, nel corso degli anni si è abbattuto sull’unico asset patrimoniale “visibile”.

I costi relativi allo smaltimento dei rifiuti, che più che una tassa di servizio ha la forma di un’imposta patrimoniale, e quelli dell’imposta fondiaria che, nel corso degli anni, ha cambiato vari nomi, da ICI a IMU a IMU/TASI a IUC, hanno reso il mantenimento del “mattone” da asset sicuro a costo reale, cosa spinta anche dalla svalutazione dei valori immobiliari nel corso degli ultimi anni, dovuto anche allo stallo del mercato relativo, che, salvo poche eccezioni, ha falcidiato il risparmio delle famiglie.

Potendo accedere a un incentivo come questo, quindi, si permetterebbe di ristabilire, almeno in parte, i valori patrimoniali che nel tempo sono stati erosi dalla “crisi del mattone” ma… c’è un ma! La prima cosa che occorra sottolineare è che esistono dei massimali sulle detrazioni che si possano ottenere, anche se sono abbastanza ampie da coprire la maggior parte degli interventi che possano interessare una qualsivoglia abitazione, e la seconda e che l’applicazione di questo incentivo possa incidere in maniera eccessiva sui conti dello stato.

Nel Rapporto sulla Programmazione 2020, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio scrive che questa misura avrà un impatto di quasi 12 miliardi euro nei prossimi tredici anni, al netto di un gettito aggiuntivo di meno di poco più di 460 milioni di euro, il rischio, messo nero su bianco, è quello di aver sottostimato gli oneri ai fini dell’indebitamento netto poiché nelle proiezioni ufficiali non è stato considerato un possibile aumento delle spese agevolabili poiché nel Decreto Rilancio è prevista la possibilità di cessione a terzi del credito di imposta ottenuto, cosa che permetterebbe l’accesso all’istituto anche di soggetti incapienti che, altrimenti, non ne avrebbero potuto usufruire.

Questo è un punto importante, da un lato perché estende ulteriormente la platea dei soggetti che possano godere dell’incentivo e dall’altro perché si crea un problema dal lato di chi possa acquistare il credito di imposta, difficilmente, infatti, le aziende potranno assorbirlo direttamente e qui dovranno entrare in gioco gli istituti di credito tramite la possibilità di scontare il credito verso lo stato, che, comunque, è uno dei peggiori pagatori nel Paese, cosa che pone un serio problema da questo punto di vista, salvo evoluzioni normative ad hoc che, ancora, non ci sono.

Resta il punto relativo al moral hazard, quindi alla possibilità dell’uso della misura fini speculativi ed elusivi con il rischio di avere dei preventivi e delle fatture gonfiate per ottenere il massimo incentivo possibile con conseguente sperpero ulteriore di denaro pubblico che, è sempre bene ricordarlo, a tutti gli effetti non esiste ma esistono solo i fondi che lo stato preleva per via fiscale a cittadini e imprese.

In sostanza l’idea di un “maxibonus” può essere, sulla carta, una mossa espansiva volta a dare un incentivo importante alla crescita del sistema economico ma resta il rischio che questo si trasformi meramente in nuovo debito pubblico che, contrariamente a quanto pensano certi esponenti di alcune illusioni politico-economiche, prima o poi andrà pagato e questo conto, in mancanza di crescita, finirà sempre per tradursi in futuri aggravi fiscali.