Siria, la nuova escalation e la sfida degli aiuti umanitari

La IV Conferenza Ue sul Paese mediorientale stanzia 7 miliardi per accelerare la risoluzione. Ma nelle aree interne la tensione resta alle stelle. E il nord-est rischia di restare fuori dagli aiuti umanitari

All’epoca fu “Fonte di Pace”, anche se quello che portò fu di fatto un’epurazione. Ora Ankara ci riprova, e il sospetto generale è che in serbo ci sia un film già visto. La quinta è quella di Raqqa, ex enclave daesh in Siria, oggi fronte dell’avanzata turca: quattro bombardamenti ad altrettanti villaggi nell’area di Ayn Assa, nord-ovest della città siriana, secondo Tass, che cita una tv curda. Non lontano dalla M-4, autostrada di collegamento di interesse sia della Turchia che della Russia, che mirano a renderla parte di un corridoio di sicurezza. Un’offensiva che, al momento, vede qualche deficit in fatto di ufficialità, almeno per quanto riguarda possibili vittime, ma che da più parti viene associato a un potenziale primo passo verso una nuova spallata ai gruppi di etnia curda.

Siria, la spesa europea

A conti fatti, le tensioni nell’area di Raqqa dimostrano che, nonostante il coronavirus, la situazione del territorio siriano non siano poi cambiate rispetto ai giorni peggiori. Anzi, il dossier Siria è stato al centro della IV Conferenza di Bruxelles sul tema, un consesso via web che ha portato al tavolo una sessantina di Paesi e 10 organizzazioni regionali, sostanzialmente con una conclusione: mantenere la questione in cima alla lista delle emergenze e stanziare i fondi necessari ad avviare la risoluzione dei conflitti interni e, indirettamente, tutte le conseguenze derivanti. Un obiettivo non certo da poco, specie se si considera che i quasi 7 miliardi promessi somigliano più a uno strumento tampone che a un investimento sul lungo tempo. Questo perché, a fronte di uno stanziamento sostanziale, i piani di intervento devono tener conto degli interessi e degli attori in campo, oltre che di un numero di esodati/rifugiati che arriva ormai a superare i 5 milioni. L’Europa, a ogni modo, ribadisce di puntare a pianificazioni a lungo termine: “Dobbiamo innanzitutto trovare una soluzione politica alla crisi – ha spiegato l’Alto commissario Josep Borrell -. È giunto il momento di sbloccare i colloqui di Ginevra, studiare una soluzione politica e arrivare a una pace inclusiva in Siria

Bisogni primari

E sul piano interno le cose non vanno meglio: “Molti siriani – ha spiegato Simone Garroni, presidente di Azione contro la Fame – comunicano al nostro staff locale che, per vivere, sono costretti a prendere in prestito denaro per soddisfare i propri bisogni di base e a mangiare di meno. Durante i precedenti i nove anni di crisi, donne e uomini hanno sfruttato tanto i pochi mezzi di sussistenza e i servizi, soprattutto nelle comunità con minori opportunità”. Il che, in sostanza, significa un innalzamento dell’emergenza per la popolazione civile, specie sul piano della malnutrizione e degli altri bisogni base: “Il costo di quasi un decennio di conflitto in Siria è incalcolabile: gran parte delle infrastrutture del Paese è stata gravemente danneggiata o distrutta, tra cui più della metà degli ospedali pubblici, una scuola su tre e gran parte della rete di approvvigionamento idrico”. Il tutto in un quadro che, oltre a i 5 milioni e oltre di rifugiati, ne conta quasi 7 di rifugiati interni.

Oltre i buoni propositi

A questo punto, l’equazione è semplice: come stimato da AcF, almeno 5,5 milioni di persone necessitano di un’assistenza base, altri 15 di accessi a risorse idriche e igieniche. Un dramma che si riflette anche in altre zone confinanti come il Libano, dove cresce sia l’emergenza che la tensione sociale. In Siria, però, la crisi socio-alimentare cozza con la crisi delle armi, che continua nonostante tutto. Nonostante persino il Covid. Per questo, in una fase in cui anche l’Ue ha riconosciuto l’urgenza di porre un freno alle escalation in territorio siriano, sul piano interno la situazione sembra meno semplice. E questo proprio in relazione agli aiuti umanitari, per ora quasi del tutto assenti nella zona del nord-est del Paese. Quella dove risiede la maggioranza curda e dove, forse non a caso, si registrano i momenti di maggiore e più recente tensione. Del resto, proprio nell’ambito della Conferenza Ue il discorso del Rojava, di Qamishli e dell’ultima fetta di enclave curda in Siria è rimasto quasi del tutto fuori. Il che rende difficile ipotizzare un processo di pace, men che meno una strategia che permetta di sopperire alle emergenze umanitarie. Una conciliazione che, invece, sarebbe necessaria. Altrimenti i discorsi sullo stop alle escalation resteranno nel novero dei buoni propositi.