Un anno senza Benedetto XVI: la sua eredità

Benedetto XVI
Foto © Vatican Media

Per ricordare Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, a un anno dalla sua scomparsa, credo che esistano diverse strade, ma una sola a me accessibile: scegliere un aspetto, un punto della sua vita che valga la pena ancora oggi sottolineare in particolare, per aggiungere qualcosa al molto che si è detto e si potrebbe o dovrebbe dire di lui. Non sono un teologo, non posso pretendere di dire qualcosa di significativo sulla sua teologia davanti al molto che si è detto, l’aspetto forse più rilevante per chi studi. Non ho vissuto il Concilio, per motivi anagrafici, non posso dire qualcosa di mio sul contributo che diede a quell’evento così importante per la storia della Chiesa e non solo, direi dell’epoca contemporanea. Il punto per me più interessante, l’esperienza di Concilium e quella successiva di Communio è studiato da tempo, non avrei certo qualcosa di significativo da affermare al riguardo.

Ho seguito però il suo pontificato, con difficoltà, interesse, sorpresa. E proprio di una sorpresa vorrei dire una cosa che in me è emersa col tempo e che adesso prende forma, forse un riflesso tardivo di cui ho preso consapevolezza in questi ultimi anni. Io ritengo che papa Benedetto XVI con le sue dimissioni abbia fatto molte cose. Ma la cosa più importante è stata quella di avviare un processo per me decisivo: la riumanizzazione della figura del successore di Pietro.

Nella scelta di farne un servizio a vita non c’era nulla di disumano, ma la storia recente della Chiesa, soprattutto la questione romana, avevano fatto emergere, forse per necessità di difesa, una visione a mio avviso pericolosa: la trasformazione del successore di Pietro in una sorta di semi-divinità. Già altro, soprattutto nel Medio Evo con Gregorio VII e Innocenzo II era emerso di problematico, almeno dal mio punto di vista.

Poi il dogma dell’infallibilità papale, sopraggiunto dopo così tanti secoli nel 1870, è stato evidentemente una risposta del Concilio Vaticano I alla sfida di quel tempo. Rileggendo oggi il testo della Costituzione Dogmatica “Pastor Aeternus” lo si può cogliere chiaramente questo peso del momento politico che in quegli anni si viveva: “Ma poiché proprio in questo tempo, nel quale si sente particolarmente il bisogno della salutare presenza del ministero Apostolico, si trovano parecchie persone che si oppongono al suo potere…”. I giorni in cui il cardinal Montini definì una benedizione la fine del potere temporale dei Papi erano ancora molto lontani. E le conseguenze comunque a mio avviso sono state rilevanti.

Si può escludere, nonostante tanti pareri lo abbiano indicato e il mio non è tra questi, che papa Benedetto XVI abbia ceduto al paradigma dell’efficenza, un tratto decisivo nel paradigma tecnocratico. I motivi profondi che hanno indotto l’uomo Ratzinger, il teologo Ratzinger e il papa, Benedetto XVI, a quell’annuncio sono stati discussi, presentati, illustrati; alcune teorie sono state definite illazioni, alcune considerazioni sulle sue condizioni fisiche sono state definite decisive. Ma qualsiasi cosa lo abbia mosso, determinato, al fondo di quella decisione rimane un esito decisivo: il papa è un essere umano, non un semi-dio. Il grande teologo, il fine esegeta, il papa infine: tutti questi Ratzinger, il Papa Benedetto XVI, non possono non aver tenuto conto, a mio avviso, di questo significato profondo.

La più grande riforma avviata da Francesco, a mio avviso, la riumanizazzione della figura del papa, affonda dunque le sue radici e trova motivo del suo evidente successo nella scelta di Benedetto XVI; che lui poi intenda seguire o non seguire il suo esempio sulle dimissioni è altra cosa.

Si può ritenere il papato un servizio a vita, e questo nell’epoca dell’efficientismo ha un senso, un valore. Si può ritenere il papato un servizio che oggi non può più essere condotto fino alla morte per la complessità del mondo, la crescita esponenziale del numero di fedeli e molto altro: questo ha un senso, un valore.

Ma fino a Benedetto XVI era diffusa l’idea, magari non detta, impronunciabile forse, che il papa fosse un essere in fin dei conti percepibile come un semi-dio. Questo, sebbene mai detto o teorizzato da alcuno, è entrato nell’inconscio o nel subconscio di certe persone ed ha costituito a mio avviso il prodotto pericoloso del Concilio Vaticano I. Questa sensazione era lì, a portata di mano dei tanti che non riuscivano a ritenere il papa un uomo, come loro, come noi, come me.

Questo problema ha segnato il confronto e il dialogo nel mondo cattolico, quasi l’idea – non scritta di certo nel dogma – che il papa avesse sempre ragione, qualsiasi cosa dicesse, per forza. Il dogma dice altro e questo lo sanno tutti.

Ho letto che con le sue dimissioni Joseph Ratzinger avrebbe posto fine al Novecento. Lui, un uomo immerso nel Novecento. Non capisco bene questa affermazione, non so quindi dire se sia così. Joseph Ratzinger è stato certamente un papa europeo, l’ultimo papa del Novecento sebbene eletto nel Terzo Millennio, ma da novecentesco europeo. Tutto questo possono dirlo e spiegarlo i tanti che ne sanno molto più di me.

Di certo oggi possiamo dire che è stato l’ultimo papa europeo, ma sin qui, altri potrebbero venire. Probabilmente è stato l’ultimo papa pienamente novecentesco, difficile pensare che il prossimo, quando sarà, lo sarà altrettanto, quanto meno per motivi anagrafici. Sebbene non possa essere escluso, dipende da tanti fattori temporali.

Ma per me Ratzinger merita di essere ricordato anche come il papa che ha posto fine, spero per sempre, all’equivoco ingenerato in alcuni, non certo in tutti, ma neanche in pochi, sulla figura del papa. Questo errore è stato poco considerato perché tutti sanno che non è un errore, il papa non può essere un semi-dio. Ma l’equivoco c’è stato e ha pesato nell’immaginario di alcuni, pochi o tanti che siano. Dimettendosi per un qualsiasi motivo, fisico come l’ insonnia da lui stesso citata o forse anche altro, Benedetto XVI ha sgombrato questo campo restituendo al successore di Pietro quella natura che è così importante apprezzare, e che Francesco ha definito di “battezzato tra battezzati”. Per alcuni, pur non sapendolo dire, sarà un problema ancora oggi accettarlo, ne sono sicuro: per me è tra i più grandi servizi che dai tempi del Concilio Vaticano I sono stati fatti alla Chiesa.