2020 l’anno che non c’è

Sono molti gli effetti generati dalla crisi prodotta dalla pandemia Covid19, quello sanitario, sociale, economico.

Nello specifico dell’ultimo numerosi sono i campanelli d’allarme lanciati negli scorsi giorni, ultimo dei quali quello dell’Ufficio studi di Confcommercio. La “nota di aggiornamento sui consumi delle famiglie e le spese obbligate” rilasciata qualche giorno fa analizza il comportamento di consumo delle famiglie italiane.

I dati mostrano che nel 2020 la spesa pro capite per residente risulta essere inferiore sia al 1995 (data partenza delle serie storiche), ma anche del 2013 (anno che si considera di fine della crisi iniziata nel 2006). Nello specifico nel 2020 la spesa pro capite al netto delle variazioni dei prezzi risulterebbe inferiore di 167 euro rispetto al 1995. In termini percentuali si stima che tra il 2019 ed il 2020 la perdita dei consumi sul territorio sia del 10,6% per abitante.

All’interno di questa compressione dei consumi si assiste ad un rafforzamento, rispetto all’ammontare complessivo, di quelle spese che vengono definite “obbligate”, cioè quelle su cui si ha poca o nessuna libertà decisionale (spese per abitazione e alimentazione domestica), a discapito di quelle determinate dai gusti e dai desideri delle famiglie consumatrici (viaggi, tempo libero, pasti fuori di casa). Si assiste, quindi, in un momento di generale contrazione dei livelli di consumi da parte delle famiglie, ad una diminuzione più accentuata di quelle spese che vengono considerate rinunciabili/non essenziali.

Questo è evidentemente un dato negativo, ma spiegabile per almeno due ordini di ragioni. Innanzitutto, il lockdown ha generato l’impossibilità di spesa verso determinate categorie merceologiche (vedasi i ristoranti o gli alberghi) e anche a seguito dell’apertura, le forti limitazioni ne hanno comunque condizionato negativamente la capacità attrattiva. In secondo luogo, la crisi economica che la pandemia ha generato ha creato un forte stato di incertezza nella popolazione, e in una situazione come questa gli individui tendono a spendere meno e a farlo in maniera più oculata.

Vi sono quindi delle condizioni ambientali, la prima, e psicologiche, la seconda, che rendono complessa una reale ripartenza dei consumi e dell’economia.

Appare evidente come, essendo questa una crisi generata da una causa esogena, sia di difficile gestione con “normali” discorsi economici. Risulta complesso comprendere come uno degli stendardi che più viene sventolato in situazioni di difficoltà economica, quello del “taglio delle tasse”, possa essere realmente efficace in un momento come questo. Difatti, questo tipo di azione non agirebbe in maniera consistente né sulle condizioni ambientali né psicologiche che hanno generato il calo dei consumi, con l’aggravante di ridurre ulteriormente le già limitate risorse a disposizione dello Stato, fondamentali per il sovvenzionamento della spesa dello stesso (tra cui troviamo quella per i servizi sanitari e ammortizzatori sociali).

Probabilmente, uno dei pochi modi per riuscire in qualche modo a provare a rilanciare l’economia, o quantomeno per limitarne quanto più possibile il trend negativo, potrebbe consistere nell’agire sulla condizione psicologica, finanziando con soldi pubblici i consumi delle famiglie, sempre nei limiti di quanto concesso dalla situazione ambientale nella quale ci si trova attualmente a vivere.

Tuttavia, l’alto livello di indebitamento dello Stato italiano, con relativa scarsa fiducia da parte dei mercati finanziari, avrebbe reso necessaria un’azione più tempestiva ed urgente da parte dell’Unione Europea. Difatti, nonostante lo sforzo di mediazione posto in essere con il Recovery Fund, questo da un lato appare ancora troppo poco ambizioso rispetto ad una delle crisi economiche più importanti che l’umanità si sia mai trovata ad affrontare, e soprattutto sposta al 2021 qualsiasi tipo di azione, mentre vi sarebbe necessità di agire qui e ora.

È necessario comprendere, quindi, che certe dinamiche a livello di consumi erano largamente preventivabili e ragionevoli rispetto a quanto vissuto in questi primi mesi del 2020 e anche di difficile gestione senza uno sforzo importante in termini di redistribuzione di risorse verso le fasce di popolazione più deboli, garantendo quella tenuta e coesione sociale che nei prossimi mesi verrà messa a dura prova (in attesa che la pandemia venga definitivamente sconfitta, si spera nel più breve tempo possibile, da un eventuale vaccino o cura realmente efficace).