La preghiera per i nostri cari diventa ancor più vera quando si apre a tutti i dimenticati

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La liturgia della Chiesa unisce, con grande sapienza, il mistero della morte e il destino di luce al quale gli umani (“tutti, tutti, tutti”, direbbe Papa Francesco) sono destinati: “noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato… Saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2). La memoria liturgica dei defunti è infatti preceduta, il 1° novembre, dalla festa solenne di Tutti i Santi; e il vangelo della Beatitudini (cfr. Mt 5,1-11) è come il gancio fra le due celebrazioni, perché può essere utilmente letto anche il 2 novembre.

A una memoria grata e orante siamo invitati nel giorno dei morti; ed è un invito al quale siamo tuttora molto sensibili, perché – nonostante tutto – siamo ancora umani, e continuiamo a portare in cuore i nostri cari, che ormai sono andati avanti a noi…

Ed è una memoria che è importante coltivare e custodire, aiutando anche i più piccoli (che altrimenti festeggerebbero solo Halloween!) a pregare per chi non c’è più. Loro, del resto, ce lo chiedono spesso: “Dov’è, adesso, il nonno?”; “Lo potremo vedere di nuovo?”; e siamo noi adulti che non sappiamo come rispondere! La morte, infatti, fa parte della vita, e i bambini lo intuiscono, anche se questa è una verità che il mercato vorrebbe farci dimenticare, perché… i morti non comprano niente e porci domande impegnative sul vivere e sul morire sembra sconveniente.

Proprio perché è parte della vita, la memoria dei nostri morti richiede un luogo, per poter essere vissuta e celebrata degnamente: questo luogo è il cimitero, dove è bello andare, per portare un fiore e fermarci un momento in preghiera. Ed è significativo che, quando è possibile e conveniente, proprio in quel luogo si celebri, il 2 novembre, l’Eucaristia: la presenza reale del Cristo Risorto, che ha vinto per sempre la morte, viene così a squarciare il velo di tristezza e nostalgia che, altrimenti, rischierebbe di prevalere e di chiudere il nostro pensiero in una memoria senza futuro.

Ma c’è di più. Perché l’Eucaristia che celebriamo è anche suffragio: preghiamo perché i nostri morti vengano accolti nella pienezza della Luce che è Dio; e preghiamo così nella consapevolezza chiara che tra “noi” e “loro” non c’è un muro di separazione, ma una relazione che continua e che nessuna morte può spezzare. Forse, potremmo dire così: pregare per i nostri morti significa parlare a Dio di loro, certi che Dio ascolta.

Voglio però anche dire un’ultima cosa, che proprio questo tempo di guerra rende ancora più urgente. Certo, ricordiamo i nostri cari, ma la fede ci chiama a pregare anche per quei morti per i quali nessuno prega e dei quali nessuno si ricorda. A Savona, la città dove vivo, vi è una tradizione molto bella (unica, credo, in Italia): ogni giorno, immancabilmente, alle 18, la grande campana di Piazza Mameli suona 21 rintocchi, per ricordare i caduti di tutte le guerre; e il traffico, per qualche minuto, si ferma, e anche i pedoni sostano in silenzio… Mi sembra un segno di grande civiltà!

Quest’anno, allora, il 2 novembre celebrerò l’Eucaristia anche per i bambini uccisi a Gaza, più di 3.000 ormai, vittime di decenni di occupazione e ora di una guerra senza senso. E ricorderò anche il milione e mezzo di bambini vittime della Shoah, i cui nomi sono pronunciati ininterrottamente a Yad Vashem, nel buio della grande sala illuminata dalle loro luci. E ricorderò i bambini vittime di tutte le guerre.

Perché proprio la preghiera per i nostri cari diventa ancor più vera quando si apre a tutti i dimenticati, custoditi solo nel cuore di Dio.