La lezione di congedo che ci offre l’Ascensione

I congedi non sono facili. Se rimaniamo solamente sul livello umano, sono spesso molto tristi, traumatici. La vicinanza, l’attaccamento sono qualcosa che ci sovrasta. Ne abbiamo bisogno per crescere, ma possiamo farlo veramente vivendo il nostro attaccamento anche oltre la dimensione esclusivamente umana. Proprio perché nel nostro mondo, sempre più secolarizzato, questa dimensione via via sparisce, vale la pena riflettere e contemplare la solennità dell’Ascensione, che ci offre una lezione di congedo costruttivo e positivo che, paradossalmente, intensifica la presenza.

Il dolore dei nostri congedi nasce a livello emotivo: siamo abituati a stare insieme, facciamo tante cose insieme, così appaiono tanti ricordi che riempiono il nostro cuore e la nostra memoria, danno il sapore alla nostra vita.

Sicuramente dovevano sentire lo stesso gli Apostoli. L’incontro con Gesù, per ciascuno di loro differente, originale ed irripetibile, ha cambiato la loro vita. Essi si sono tolti dai loro contesti famigliari, lavorativi e sociali. Hanno iniziato a partecipare ad un grande progetto, accompagnato e confermato da tanti miracoli e svolte umane. Nonostante il duro confronto col Venerdì Santo, alla fine hanno ritrovato Gesù risorto. La prospettiva del progetto comune, che sembrava interrotta con la sua morte, adesso ha ricevuto prospettive nuove, insolite, infinite.

Ma Gesù, come predetto, non poteva incontrare loro sulla terra anche in modalità “dopo la Risurrezione” senza fine. È arrivato il tempo per loro. Forse non se ne rendono conto, ma Gesù li prepara, ricordando le sue parole, collegandole coi fatti compiuti e con le prospettive delineate durante la sua missione. Nello stesso tempo promette di mandare loro lo Spirito Santo – il Consolatore. Aggiunge per loro anche l’indicazione più precisa e pratica: di rimanere in città.

Stupisce il comportamento degli Apostoli descritto da San Luca. Non dicono niente, non chiedono niente. I bei tempi con Gesù sembrano essere tornati – con la differenza, che lui non può più morire. Sembrano incantati, aperti, positivi. I preparativi che Gesù ha fatto per il suo congedo sembrano essere molto efficaci. Non c’è segno di paura o di nostalgia nel loro comportamento. Anzi, sentono grande gioia e lodano Dio nel tempio.

Come mai Gesù è riuscito ad essere così efficace riuscendo persino a moderare per non dire gestire bene le loro emozioni? Si potrebbe parlare della presenza presentita, anticipata dello Spirito Santo? O dei frutti del lavoro formativo e pedagogico dei 40 giorni dopo la Risurrezione?

Forse. La reazione dei Discepoli rimane stupefacente ed impressionante. Se anche non conosceremo pienamente ciò che sta alla base di una tale reazione essa ci mostra una prospettiva molto significativa dei rapporti più importanti che abbiamo e della prospettiva di congedo che potrebbero in un certo momento implicare.

Stare con qualcuno che entra nella nostra vita e la trasforma non è solo una cosa che riguarda esclusivamente due persone. La vera vicinanza, il vero amore è sinonimo di uno slancio, una missione che sovrasta i legami esclusivamente umani: piuttosto li trasforma in una realtà solidissima, essenziale che va oltre le dimensioni puramente umane. È un progetto, per non dire una missione che garantisce di stare insieme per sempre – e assicura la consolidazione di questo stare nel fare, anzi nel cercare di trasformare insieme il mondo. Questa era la prospettiva degli Apostoli – la conseguenza ultima del loro incontro con Gesù, di tutto l’affetto e l’attaccamento che hanno sviluppato durante la loro conoscenza terrena. Se assumiamo che in ogni vero e profondo rapporto umano c’è Gesù, con la sua missione ma anche con la sua tenerezza formativa e pedagogica, non dobbiamo avere paura dei congedi o della perdita dei nostri rapporti e delle nostre vicinanze. Basta affidare tutto a Lui ed Egli ci assicurerà non solo la loro durata eterna ma anche la loro importanza e contributo nel cammino di tutti verso il Cielo.