Le due strade per ridurre la nostra dipendenza energetica

L’attuale crisi energetica, con la risalita dei prezzi delle materie prime dopo un periodo di “fermo” legato alla fase più dura della pandemia di Coronavirus e l’incertezza sui tempi e i modi della ripresa, è l’occasione per capire, come Italia e come Unione europea, che dobbiamo ridurre il prima possibile la nostra dipendenza energetica da fonti quali il petrolio e il gas e di conseguenza, a livello geopolitico, dai paesi produttori di quelle fonti fossili. Le strade sono due, una nel breve e una sul medio-lungo periodo.

La prima è diversificare le scorte e le fonti di approvvigionamento. Alcuni giorni, fa in occasione dei lavori del Consiglio europeo il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, ricordando che il punto di arrivo della strategia energetica europea sono le rinnovabili, ha sottolineato che occorre “preparare subito uno stoccaggio integrato con le scorte strategiche” perché non tutti i Paesi possono rinunciare immediatamente a fonti come il gas. Fondamentale anche fare squadra a livello UE e creare un unico gruppo d’acquisto per aumentare il potere contrattuale nei confronti dell’offerta.

La vera strategia resta comunque uscire progressivamente dal ricatto del gas e del petrolio. Il nostro è un Paese che può reggersi quasi completamente sulle fonti rinnovabili. Come dice il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, dobbiamo aumentare di sette gigawatt all’anno la nostra capacità produttiva da queste ultime. Un obiettivo raggiungibile attraverso la riduzione dei tempi nelle aste di assegnazione dei nuovo diritti di produzione.

Un segnale in questa direzione viene dalle Settimane sociali, con l’impegno che ognuna delle 25mila parrocchie che ci sono in Italia installi una comunità energetica da fino a 200 kilowatt, cioè 5,2 gigawatt di potenza. Possiamo essere noi cittadini per primi i protagonisti nel raggiungimento di questo obiettivo.

Sullo scacchiere internazionale, dato che il futuro sono le rinnovabili, c’è la corsa per i metalli rari e quei materiali oggi considerati essenziali per la produzione di batterie, che avranno un ruolo fondamentale in futuro. I progressi tecnologici però, lo speriamo vivamente, potrebbero rendere obsoleti quei materiali entro dieci o quindici anni, perché sarà possibile costruire le batterie in altro modo e con altri materiali.

L’Unione europea deve inoltre assolutamente mettere in campo, come ha già annunciato con il nuovo programma climatico Fit for 55 varato per raggiungere gli obiettivi fissati nel Green new deal entro il 2030, il Carbon Border Adjustment Mechanism. Si tratta di una tassa per proteggersi dal dumping ambientale e sociale: chi produce da Paesi terzi non rispettando le nostre regole sulle emissioni e sulla dignità del lavoro deve pagare un prezzo per evitare di fare concorrenza a prezzi più bassi. Questo meccanismo è anche l’inizio di una trattativa dove probabilmente ciò che è importante è definire un fondo di transizione per aiutare i Paesi più poveri nel passaggio alle fonti rinnovabili.