I poveri non siedono ai tavoli dei potenti

Gli Stati generali dell’Economia sono stati certamente un momento importante perché tanti potessero indicare al Governo il percorso da seguire per tamponare la crisi e rilanciare l’economia nazionale. Tanti hanno avuto voce, tanti hanno detto cose interessanti ed in alcuni casi addirittura importanti, ma è mancata la voce dei poveri, la “voce di chi non ha voce”.

Per farsi sentire, Aboubakar Soumahoro si è incatenato a Villa Pamphili, dove si stavano tenendo gli Stati Generali, per chiedere che persone come lui e come tante possano avere piena dignità. E va detto che è stato ascoltato, segno di una disponibilità ad ascoltare il “grido dei poveri”. E’ stato l’emblema dell’umanità ferita, dei dolori e dei sogni, delle speranze e delle idee di una comunità umana, solidale e sociale, in cui nessuno resti indietro.

Forse sarebbe stato importante ascoltare la riflessione di Papa Francesco: “Si moltiplicano inutili luoghi di elaborazione strategica, per produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa…Gesù ha incontrato i suoi primi discepoli sulle rive del lago di Galilea, mentre erano intenti al loro lavoro. Non li ha incontrati a un convegno, o a un seminario di formazione, o al tempio”. Non ascoltarlo è stato ed è il segno di una società che si dice inclusiva, ma che emargina sempre più persone, in cui la povertà dilaga e si scorgono segni complessi di insofferenza, di disagio, di rabbia.

E’ l’approccio che va cambiato, se si immagina un welfare di prossimità – lo scrive nero su bianco il testo elaborato dalla task force Colao – il punto di partenza è la relazione che si crea tra le persone, quella che necessita di un accompagnamento e quella che questo accompagnamento lo sostiene. Non si tratta di un’azione erogativa, di una prestazione, ma di un progetto collaborativo agito in via sussidiaria da organizzazioni del Terzo Settore con il sostegno del Pubblico e il protagonismo dei cittadini.

E’ ancora Papa Francesco che parla al cuore di ogni persona: “Non è lecito delegare agli altri la condivisione con chi è nel bisogno, e l’attenzione ai poveri non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati”. La povertà che “assume sempre volti diversi”, come ha mostrato la pandemia, e il dovere di combatterla di fronte all’attuale “globalizzazione dell’indifferenza”, non deve portarci a pensare che la solidarietà e la prossimità siano compito di “qualcun altro”, dello “stato” o della “provvidenza” non è lecito…

Ecco il senso e il significato di una “Economia del dopo”, di un processo fondato sulla prossimità, sull’idea che ogni persona – anche quella apparentemente più inutile – possa essere importante per lo sviluppo sociale ed economico. Se riforma dev’essere, allora sono i ruoli e il piano del dialogo a dover radicalmente mutare e questo passa dal riconoscimento del valore economico delle strutture e dell’apporto volontario che le organizzazioni del Terzo Settore e i presidi di cittadinanza attiva mettono in campo, oggi come domani. Servirà anche un cambiamento profondo di queste organizzazioni, per tornare alla loro missione originaria di forme di cittadinanza attiva.

In questi 8 anni ho potuto fare un’esperienza concreta di questa modalità di welfare di prossimità, nella Fondazione Ebbene, che ha dato vita ai Centri di Prossimità, che hanno funzionato come spazi di incontro tra le persone dove attivare percorsi di autonomia per chi ne ha necessità e mettere insieme, alla luce di un approccio multidimensionale, le opportunità del territorio. Il lavoro nei Centri ha garantito sostenibilità agli interventi di welfare, ottimizzazione delle risorse, ha prodotto tante storie di persone che sono riuscite a rialzarsi così come oggi deve fare il nostro Paese.

Nel modello di Prossimità, nel metodo fondato sulle 4A (Accoglienza, Ascolto, Accompagnamento, Autonomia) che in questi anni la Fondazione Èbbene ha sperimentato, diventando la prima e unica Fondazione nazionale di #Prossimità, si è potuto dimostrare che la voce dei poveri può essere il vero elemento di cambiamento dell’Economia del nostro Paese.

Ci sono milioni di persone che consideriamo “scarti”, che hanno risorse, competenze, desideri che correttamente valorizzati sono molto superiori alle volontà dei “potenti” che pensano solo ai loro interessi. Abbiamo scelto di lavorare per riscoprire il talento di ogni persona, costruire una relazione che sia “paritaria”, mettere in moto il principio di Economia circolare. Un’economia pensata per potersi rigenerare da sola; un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi riducendo al massimo gli sprechi declinandolo intorno alle persone, cosi che gli “scarti” diventino “nuova umanità”.

Autonomia, protagonismo e reciprocità sono le chiavi di un welfare fatto di prossimità, democratico e volto al bene e al benessere per il quale Ebbene ha agito interpretando la propria azione filantropica come missione declinata verso lo sviluppo sostenibile della persona, delle comunità nei territori. La prossimità è una cosa seria, è un metodo per rendere ogni persona protagonista della propria vita e del proprio futuro… è la novità è che è viva, vitale ed efficace…va scelta ed agita.