I gesti che ancora parlano al cuore

L’inchino è oggi uno dei gesti più belli dell’uomo da vedersi. Nell’antichità invece questo atto era comunemente associato al rispetto che l’inferiore doveva verso i propri superiori, di qualunque categoria e ceto sociale. Dall’inchino dello schiavo a quello del servo, fino ad arrivare a quello del nobile verso l’imperatore, tale gestualità si è sempre evidenziata come l’espressione più scontata per qualsiasi dinamica di sudditanza e di rispetto o venerazione. Chi non si inchinava infrangeva scandalosamente le regole, e trasgredendo mostrava di non voler stare al proprio posto disconoscendo il ruolo dell’altro.

In molte culture questa consuetudine è del tutto scomparsa oppure relegata soltanto all’interno dei riti religiosi dove forse ci si inchina ancora dinanzi ai simboli della fede; in altri contesti l’inchino è ancora considerato un atto nobile e puro che esprime non soltanto il semplice saluto e rispetto che si deve verso l’altro o verso il sacro ma è ancora ritenuto un segno interiore di grande profondità.
Nei paesi asiatici ad esempio inchinarsi è una pratica comune intesa come saluto e rispetto reverenziale specialmente verso chi è più anziano. In India ci si inchina utilizzando il termine “Namaste” e cioè “Mi inchino per onorare il divino in te” mentre nel Tibet lo si fa dicendo “Tashi delek” che vuol dire: “Eccellente fortuna e buon auspicio a te”. I buddhisti comunemente offrono un inchino quando entrano o escono da un tempio, un reliquiario, un luogo di pellegrinaggio o un circolo spirituale di qualsiasi tipo.

I giapponesi con l’inchino salutano ed esprimono rispetto; nella cultura nipponica, questo atto è un dovere sentito ed è la profondità della reverenza a segnare la distinzione in base a chi si ha dinanzi e a quello che si vuole comunicare. Con il termine onegai shimasu “oss” si esprime anche il concetto “onorato di imparare da voi”. Nel mondo ebraico ci si inchina salutandosi con la parola shalom è così anche i mussulmani ed i cristiani conoscono il suo valore intramontabile e lo praticano specialmente nelle liturgie. Anche nelle arti marziali e in altri sport, come pure a teatro e in tanti altri contesti culturali l’inchino esprime anche il ringraziamento e l’onore.

Inchinarsi è riconoscere umilmente la grandezza di chi si ha di fronte, la sua preziosa irripetibilità e la sacralità non solo di un Dio rappresentato dalle varie statue e dipinti ma anche vivo nelle persone. Purtroppo oggi ci si abbassa soltanto dinanzi ai potenti e prepotenti di turno diventando striscianti verso chi rappresenta il successo e la possibilità di dominio; ci si prostra poi al dio denaro perdendo anche la dignità, e per fare tanti soldi si arriva addirittura a mercificare le persone, vendere i propri organi o anche l’anima al diavolo.

Ma da alcuni giorni è stato proprio un particolare inchino a suscitare tante reazioni specialmente nei paesi occidentali non più abituati ai comportamenti nobili e rispettosi. Alcuni medici cinesi si sono inchinati profondamente, tutti insieme verso il corpo defunto di un ragazzino che aveva scelto prima di morire di donare i propri organi; tale gesto è stato fotografato facendo il giro del mondo suscitando commozione e interesse.

Questa immagine ci meraviglia perché ormai prevale la superficialità in tutti i campi e la volgarità in tutte le sue forme. Persino le liturgie con le proprie ritualità vengono a volte derise e ritenute inutili. Il significato dell’ultimo saluto testimoniato verso un piccolo eroe, invece, ci dà ancora speranza; anche chi nella propria arroganza non si inchina mai ne è rimasto infatti segnato.