Quei Giochi a cui manca l’aspetto più importante

Dici Olimpiadi, e pensi a De Coubertin, per il quale l’importante non era vincere, ma partecipare. Roba superata dai tempi moderni, dove è vero che l’Olimpiade rappresenta un innegabile punto di arrivo, a maggior ragione la conquista di una medaglia che nell’immaginario collettivo rappresenta il punto più alto per un atleta. Puoi vincere Europei, Mondiali, ma i cinque cerchi tatuati sul petto, rimarranno indelebili in quegli atleti che hanno avuto, e hanno, il privilegio di far parte di una rappresentativa nazionale.

L’essenza dei Giochi, si specchia in impianti colmi di gente, palazzetti e piscine dove poter festeggiare la conquista di una medaglia. A Tokyo non è possibile. Urla, di gioia, nel totale silenzio, davanti alle sole telecamere a celebrare e immortalare l’evento. Purtroppo il Covid ha messo in ginocchio non solo il Giappone e ha penalizzato i grandi eventi del 2020, spostati di un anno. Ma solo il calcio, Euro 2020, è riuscito a portare a termine la missione, con stadi semi deserti nella parte alta della rassegna, per poi riempirsi quasi al limite in occasione di semifinali e finale. Non ce l’ha fatta invece Tokyo, che pure divide con Londra, sede della finale di calcio, il triste record di contagi per la variante Delta.

Tokyo ha pagato conseguenze pesantissime sotto il profilo economico, a cominciare dallo sponsor di casa, la Toyota che si è tirato fuori. Senza pubblico, niente investimenti. Un danno che in Giappone hanno calcolato non meno di 700 milioni di euro. In fondo, gli stessi giapponesi, si sono da sempre mostrati contrari ad una Olimpiade senza partecipazione di pubblico. L’Olimpiade è gioia, è bellezza estetica che d’improvviso è venuta a mancare. Danni economici generati dagli sponsor, ma anche dalla mancanza di pubblico blindato in casa e di conseguenza niente incassi per gli store che resterà invenduta.

C’è poi il danno arrecato all’atleta. Lo si è capito dalla stessa cerimonia inaugurale, bella quanto si vuole, ma lo sguardo sulle tribune dell’Olimpico di Tokyo deserte, con l’imperatore Naruhito che da un lato avrebbe voluto ascoltare la voce accorata dei manifestanti a fermare Giochi, ma dall’altra dava il via ufficiale alla rassegna che corre veloce come gli Shinkansen, i treni missili che hanno reso famoso il Giappone.

E l’Olimpiade di Tokyo, è molto simile ad un treno lanciatissimo nella sua corsa, impossibile da fermare.

Un danno economico ed emotivo senza precedenti. O meglio, qualche precedente c’è ed è legato ai Giochi di Berlino 1916, Tokyo 1940 e Londra 1944, fermati causa guerra e poi riassegnati tempo dopo. Stavolta è tutto diverso. Ci perde il Giappone che ha sempre dato un valore sentimentale ai propri Giochi. Nel 1964 scelsero come simbolo un certo Yoshinori Sakai, l’ultimo tedoforo ad accendere la fiaccola olimpica. Aveva 19 anni e non fu certo scelte per meriti sportivi, semplicemente perché era nato il 6 agosto 1946 ad Hiroshima, giorno in cui fu sganciata la bomba. E anche stavolta il Giappone si apprestava a ricordare al mondo di essersi rimesso in piedi dopo le tragedie dello tsunami e del disastro della centrale nucleare di Fukushima. Niente da fare. La pandemia ha mandato in frantumi tutto, anche perché il Covid continua a non dare tregua.

L’ultimo pensiero, va poi agli atleti, a chi lavora quattro anni per prepararsi ad un evento dove non basta indossare una maglia,  servire il proprio paese, ma semplicemente vincere una medaglia. Continueremo a definirle urla nel silenzio, la gioia di chi ha aspettato quattro anni per gridare al mondo la felicità per una medaglia, da condividere con uno stadio, magari le lacrime all’ascolto dell’inno nazionale mentre la bandiera del tuo Paese sale perentoria sul pennone più alto del podio.

Urla strozzate in gola, una festa rovinata sul nascere, l’istantanea di un trionfo per pochi intimi dentro un impianto deserto, senza spazio per gli  scroscianti boati per un trionfo, che invece hanno lasciato spazio alla solitudine, al festeggiare con se stesso, con emozioni che non saranno mai le stesse di chi invece le ha godute in una atmosfera unica, irripetibile. E poi, il podio con quella mascherina imposta dal protocollo, a nascondere i tratti di un viso raggiante, tanto da spingere il fotografo professionista Ferdinando Mezzelani, uno che vive di Giochi e per i Giochi, a squarciare il silenzio del palazzetto dove Mirko Zanni aveva da poco conquistato uno storico bronzo nel sollevamento pesi. Perché allo scintillare del metallo, non c’è tempo da perdere e senza quel rimprovero, Mirko Zanni sarebbe passato alla storia come il vincitore con la mascherina. Che nessuno avrebbe mai riconosciuto in mezzo alla strada. Per questo, a bocce ferme, Zanni non potrà altri che ringraziare Mezzelani per essere stato ripreso e aver regalato al mondo l’istantanea più bella, quello di un viso sorridere e radioso.

Storie di vita olimpica, rattristate da Giochi cui manca l’aspetto più importante, la presenza del pubblico, che mette carica e adrenalina sulla pelle. Sarà difficile dimenticarle queste Olimpiadi, come sarà difficile non ricordare le tante urla nel silenzio di chi non ha avuto il privilegio di condividere un momento storico. Perché il futuro è adesso. Senza pubblico, nel silenzio di impianti deserti, non sarà mai la stessa cosa.