Da Alitalia a Ita: operazione possibile o spreco di denaro dei contribuenti?

Dopo anni di tira e molla e di perdite miliardarie a carico della fiscalità (quindi dei cittadini italiani), la questione Alitalia arriva alla svolta finale: il 15 ottobre la compagnia di bandiera smetterà di operare, avviandosi alla liquidazione, e sarà sostituita da un nuovo operatore Italia Trasporto Aereo (ITA).

Detta così sembrerebbe una soluzione alla Swiss Air, per chi si ricordasse del crack della compagnia elvetica, mantenendo, però, un nuovo operatore “di bandiera” che sembra essere considerato un asset strategico da quasi ogni governo al mondo.

In ogni caso viene annunciata una completa discontinuità rispetto al passato con una razionalizzazione di costi, una riduzione della flotta aerea (inizialmente di 52 mezzi ma destinati a salire a 78 già nel 2022 per arrivare a 105 nel 2025), un presidio sull’hub di Roma Fiumicino e sull’aeroporto di Milano Linate, meno di 3’000 dipendenti in fase di avvio per arrivare a circa 5’700 a regime nel 2025, con un nuovo contratto di lavoro che assicuri flessibilità e competitività con i principali concorrenti di mercato e 45 destinazioni con 61 rotte destinate a salire a 74 destinazioni con 89 rotte nel 2025.

Il tutto ipotizzando che a regime i ricavi siano pari a 3’329mln di euro con un EBIT di 209mln e il raggiungimento del break-even operativo già nel Q3 del 2023. Fin qui tutto bellissimo ma sarà possibile?

Diciamo che la nuova compagnia entrerebbe tra le “piccole” facendo conto che Ryanair conti circa 300 aeromobili, poco meno di Lufthansa, e AirFrance-KLM ne conta oltre 200 ma il piano industriale indica che le rotte siano state decise sulla base della profittabilità e la grande differenza starà nel rapporto tra prezzo e qualità che la nuova compagnia sarà in grado di offrire alla clientela.

Il piano industriale presentato, elaborato con i supporto di Rothschild, BCG e EY, è ambizioso ma oggettivamente fattibile anche perché si sviluppa lungo le coordinate di una strategia commerciale omnicanale per gestire, anche con l’uso delle piattaforme digitali più innovative, tutta l’esperienza della clientela, dalla prenotazione al post-volo, per semplificare le procedure e permettere una maggiore accessibilità ai servizi per chiunque.

Su questi, ovviamente, si gioca il rilancio della compagnia di bandiera, perché si prevede una netta differenziazione dalle compagni low cost come Ryanair e, quindi, la possibilità di accedere anche a una struttura di servizio personalizzata e quanto più orientata al comfort sia possibile.

Questo si traduce, ovviamente, in posizionamento di prezzo più elevato ma che dovrà essere compensato da un livello superiore di offerta commerciale e, comunque, limitato dalla concorrenza esistente, oggi, sulle tratte che saranno coperte.

In pratica non ci sarà il volo Milano-Londra a 3 euro, come qualcuno ricorda delle offerte di Ryanair di tanti anni fa, ma un posizionamento in competizione con i migliori vettori e non certo con la Gremlin Air che si vede nel film Hotel Transylvania 3.

Battute a parte, quando si parla dell’importanza di una compagnia di bandiera non si può dimenticare che, solo negli ultimi 12 anni, Alitalia è costata al contribuente circa 10,5 miliardi di euro senza che alcuna strategia messa in atto abbia potuto rilanciare la redditività.

Tralasciando ogni commento sui piani industriali precedenti che hanno sia penalizzato tratte redditizie sia declassato Malpensa da hub a aeroporto secondario, andando di fatto a rinunciare a un segmento importante di clientela business e leisure residente nel nord Italia e nel sud della Svizzera, la strategia posta in atto potrebbe essere l’unica possibile per permettere la sopravvivenza di una compagnia di bandiera.

Questa, un tempo, era intessa come una società di trasporto aereo posseduta dallo stato ma, oggi, è più corretto parlare di compagnia “dominante” sul mercato interno e con rapporti privilegiati con lo stato a cui faccia riferimento (come l’esistenza di un qualche tipo di “contratto di servizio” su alcune tratte).

Questo tipo di compagnie, come già accennato in precedenza, è, inoltre, considerato un asset importantissimo per la promozione turistica e business degli stati, infatti, nel corso degli anni, molte di esse sono entrate in crisi e sono state, poi, risanate o ristrutturate anche radicalmente per poterle mantenere in vita.

Swissair, come già anticipato, rappresentò un caso di scuola quando fallì nel 2002 dopo aver accumulato perdite miliardarie, quasi quanto la compagnia italiana ad oggi.

Tramite l’acquisizione da parte di Crossair degli asset attivi di Swissair e lasciando solo le passività in capo alla ex compagnia di bandiera, trasformandola in una bad company che i creditori avrebbero potuto aggredire, si permise la nascita di una nuova società in bonis che ne avrebbe potuto riprendere l’attività.

Nacque così Swiss che, poi, fu acquisita e integrata, in maniera graduale tra il 2005 e il 2007, da Lufthansa pur mantenendo la sede a Zurigo e lo status di compagnia svizzera.

Più o meno questo è quello che dovrebbe succedere con ITA anche se, al momento, non è prevista nessuna operazione societaria con altri vettori internazionali e il piano industriale è previsto per un cosiddetto stand alone, quindi volto alla creazione di valore per rendere l’azienda sostenibile e profittevole.

La domanda che sorgerebbe in qualsiasi osservatore, a questo punto, è “ma sarà possibile o si butteranno ancora miliardi di euro dei contribuenti?”.

Al di là del tono polemico non si tratta di un quesito banale, soprattutto valutando il periodo e le trasformazioni delle dinamiche economiche avvenute in questo ultimo anno e mezzo.

Con una pandemia in atto e con le restrizioni e le cautele che ogni stato sta mettendo in atto per limitarne la diffusione sicuramente non è un buon momento per lanciare un nuovo vettore di trasporti, anche se non era realmente possibile mantenere ancora in vita la vecchia Alitalia senza pensare di sacrificare ancora risorse per evitarne il tracollo, e le modificazioni dei rapporti aziendali, tra videoconferenze e contatti in remoto hanno, credibilmente, modificato in maniera strutturale il segmento business che vedrà meno viaggi a fronte di maggiore immediatezza nei contatti e notevoli risparmi dal lato dei bilanci aziendali, per il minor numero di trasferte, ed ecologici, per le minori emissioni dovute a un numero più ridotto di tratte dovute a una minor domanda.

Questo, però, non è un minus solo per la nascente ITA ma per tutto il comparto che, contrariamente ad essa che si sta, oggi, strutturando, dovrà sicuramente adattarsi e, forse, ristrutturarsi completamente, operazione questa che non è mai indolore né dal lato dei servizi offerti, almeno inizialmente, né dal lato delle finanze aziendali.

Questo perché, a fronte di una minore domanda business, una volta passata la crisi sanitaria odierna è credibile un nuovo slancio del turismo e dei viaggi per piacere e per cultura e la sfida sarà quella di poter intercettare al meglio questo tipo di domanda, assai segmentata volendo vedere ma molto interessante e potenzialmente redditizia.

Una compagnia aerea ben strutturata, non molto grande e flessibile potrebbe essere la scelta vincente ma questo lo scopriremo solo nei prossimi anni.