Francesco a Malta: l’orizzonte di un viaggio opportuno

Dove va durante il conflitto in Ucraina Francesco? A Malta… Come tutti sappiamo il viaggio di Francesco a Malta è stato programmato molto tempo fa, poi rinviato per il Covid e ora finalmente, e molto opportunamente, arriva a realizzarsi. Francesco va a Malta nel pieno dell’invasione ucraina e della guerra sacrilega che ne è derivata. Malta, anche questo è noto, è stata teatro del naufragio di Paolo, mentre con numerosi altri viaggiava alla volta di Roma dove sarebbe stato processato. Dal racconto di quel naufragio è tratto il motto di questo viaggio: “Ci hanno trattati con rara umanità”. Così si legge negli Atti degli Apostoli. Già: ma chi ha trattato con rara umanità? E chi è stato trattato con rara umanità?

Le risposte sono semplici: San Paolo era un prigioniero, tradotto per il processo a Roma, viaggiava con altre 275 persone. Fecero naufragio, videro la morte in faccia, ma furono subito accuditi da un gran fuoco sulla spiaggia grazie alla “rara umanità” di una popolazione che ancora non aveva conosciuto né visto la luce del Vangelo. Vediamo un’immagine: sulla spiaggia duecentosettantasette persone con le vesti lacere, tremanti, si riscaldano al fuoco che viene preparato dalla popolazione locale. Anche il detenuto in attesa giudizio viene accudito, aiutato. Probabilmente oltre a potersi asciugare vengono anche nutriti, ricoperti con vesti povere ma utilizzabili, a differenza di quelle che indossano ancora. Ci sono altri racconti sul lungo soggiorno di Paolo, tutti importanti, ma fermiamoci qui; siamo davanti alla raffigurazione del DNA dell’umanità. Non c’è barriera etnica, culturale, religiosa davanti al profugo, anche al detenuto in attesa di giudizio: in condizione di bisogno il soccorso è per tutti. E viene prestato evidentemente con il coinvolgimento, il consenso della comunità, non è opera dei singoli.

Ecco dove va Francesco nelle ore nelle quali la tragedia ucraina fa emergere un problema che annichilisce la nostra umanità: non è quello del passato negato soccorso, no. E’ la constatazione che in queste ore qui da noi ci sono profughi di serie A, di serie B. Non è una loro scelta, ma nostra.

Le manifestazioni di protesta dei profughi non regolarizzati, o in attesa di regolarizzazione, che hanno avuto luogo il 31 marzo in numerose città italiane hanno avuto pochissimo risalto, ma sono un fatto. Ci sono le proteste di chi non ha ancora avuto visto concludersi l’iter per la sanatoria per ottenere il permesso di soggiorno e che riguarda 200mila persone. Richiede la certificazione di una attività lavorativa, il pagamento della sanzione previsto dalla legge. Moltissimi però sono ancora in attesa del  permesso di soggiorno, importantissimo anche per vaccinarsi. Ha scritto nel servizio da Milano l’agenzia AGI: “Il presidio, durante il quale si chiede un’accoglienza analoga a quella riservata ai profughi ucraini per chi scappa da altre guerre, si svolge in modo pacifico. ‘Siamo lavoratori e lavoratrici, mandiamo avanti i cantieri e i magazzini, siamo riders e facchini, puliamo uffici e hotel, mandiamo avanti le cucine, accudiamo gli anziani e i bambini, ci spezziamo la schiena in campagna’, dicono”. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, la sezione italiana del Servizio dei gesuiti ai Rifugiati, in una recente intervista ha detto che “non esistono profughi di serie A e di serie B”.

La necessaria corsa alla solidarietà con la stremata e offesa umanità ucraina urta con la negata solidarietà a profughi di diverse provenienze,  e questo “vogliamo essere trattati come gli ucraini” fa male ma non può non far ricordare il 2015/2016, quando milioni di profughi, soprattutto siriani, si riversarono sulla rotta balcanica. In quel caso non ci fu accoglienza, ci fu il noto accordo con la Turchia: “Non devono poterci raggiungere, vi paghiamo perché li accudiate da voi”. L’Europa però definisce la Turchia paese deficitario nel rispetto dei diritti umani. Ma non c’era solo la rotta balcanica; c’era, come c’è, anche la rotta mediterranea, e per chiuderla l’accordo andava trovato con le autorità dell’altra sponda. Ecco lo scandalo dei lager libici più volte denunciato da Francesco come tale, con il suo nome: lager.

E quel DNA di cui abbiamo parlato? Quell’umanità che gli Atti degli Apostoli documentano, certificano, indicano? Ora si capisce l’orizzonte di un viaggio opportuno. Francesco va dove gli Atti degli Apostoli dicono che si manifestò il nostro DNA.

Davanti alla tragedia ucraina, una nuova, inattesa, positiva corsa alla solidarietà, in tante forme, c’è stata. Alcuni hanno detto che lo ha consentito l’aver visto da dove fuggono. Ma perché non abbiamo potuto vedere da dove e da cosa fuggivano e fuggono gli altri? Perché è stato possibile convincerci che non fuggivano, non fuggono da contesti paragonabili? Altri hanno detto che questa solidarietà è dovuta al fatto che sono “cristiani come noi”. Davvero? Ma su quella spiaggia maltese, nel 60 dopo Cristo, la popolazione soccorrente non era cristiana, e pure lasciò scaldarsi a quel fuoco anche il cristiano Paolo, detenuto in attesa di giudizio. Con ogni probabilità nessuno gli chiese di che religione fosse. Oggi la storia sembra troppo spesso diversa.

Ci ho pensato ricordandomi che a Malta c’è uno straordinario dipinto del Caravaggio, la decollazione di San Giovanni Battista. A differenza di altri dipinti sulla decollazione, Caravaggio lo fissa quando l’atto finale sta per compiersi. La vittima è a terra. Mentre il carnefice si accinge all’azione finale, una donna prepara il bacile dove sarà posta la testa, un’altra porta le mani al volto, per proteggersi dall’orrore. In lontananza, nell’ombra, si vedono due profili: si sporgono per osservare la scena.