Pfas, l’Ue cambia passo per un futuro senza microplastiche

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Le nuove norme Ue prevedono restrizioni sul contenuto di Pfas sugli imballaggi a contatto con gli alimentiLe sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) includono gli acidi perfluoroacrilici. E si trovano ormai dappertutto: dalle pentole antiaderenti, a indumenti e scarpe impermeabili. Fino ad alcuni imballaggi alimentari, pesticidi e acque del rubinetto. Il regolamento europeo. sarà rivalutato tre anni dopo l’entrata in vigore in base allo stato di sviluppo tecnologico degli imballaggi in plastica a base biologica per stabilire quindi requisiti di sostenibilità per gli imballaggi in bioplastica. Arrivano limiti allo spazio vuoto degli imballi per indurre un confezionamento raggruppato. Si fissa un rapporto massimo di spazio vuoto del 50% negli imballaggi raggruppati, per il trasporto e per il commercio elettronico). Scatterà inoltre un obbligo per le imprese di asporto di offrire ai clienti la possibilità di portare con sé i propri contenitori da riempire con bevande fredde o calde o cibi pronti, senza alcun costo aggiuntivo. Entro il 2030, le attività da asporto dovranno offrire il 10% dei prodotti in formati di imballaggio idonei al riutilizzo. La produzione di imballaggi e la gestione dei rifiuti di imballaggio genera un fatturato totale di 370 miliardi di euro nell’Ue. Negli ultimi dieci anni, la quantità di rifiuti di imballaggio è aumentata di quasi il 25% e si prevede che aumenterà di un altro 19% entro il 2030 se non verranno intraprese azioni concrete. Entro il 2030 è previsto un aumento del 46% dei rifiuti di imballaggio in plastica. “Parziale soddisfazione per la deroga orizzontale agli obblighi di riuso e alle restrizioni che sono state circoscritte. E’ chiaro che non è abbastanza. E serve ancora un surplus di riflessione”, commenta il viceministro all’Ambiente e Sicurezza Energetica Vannia Gava.

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Foto di Naja Bertolt Jensen su Unsplash

Dossier Pfas

Al pericolo Pfas l’agenzia Dire ha dedicato un dossier. Cnr-Ibfm: “Plastica in acqua e cibo, ingeriamo una carta di credito a settimana L’esposizione acuta e cronica a particelle polistirene fattore rischio tumore colon”. Le micro e le nano plastiche sono ormai presenti nella nostra vita quotidiana a tal punto da poter essere ingerite o inalate dal nostro organismo. Questo è un fatto risaputo, nella comunità scientifica. E diversi dati di letteratura dimostrano la presenza di particelle di micro e nano plastica lungo l’intera catena alimentare. Frammenti ne sono stati trovati in pesce, carne, frutta e verdura (mele e carote le più contaminate), miele, zucchero, sale e birra. “Si stima che possiamo ingerire da 0,1 a 5 grammi alla settimana di invisibili pezzetti di plastica, un contenuto quasi pari a quello di una carta di credito”, spiega all’agenzia Dire la dottoressa Daniela Gaglio, responsabile scientifico dell’Infrastruttura di Metabolomica dell’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare (IBFM), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Il team di ricercatori, diretto dal professore Danilo Porro e coordinato da Daniela Gaglio, hanno dimostrato in via sperimentale che le cellule sottoposte all’esposizione acuta e cronica di particelle di polistirene mostrano un’alterazione del metabolismo e un aumento dello stress ossidativo (Bonanomi e altri). Il CNR con la sua ricerca ha evidenziato quindi il potenziale effetto che queste micro e nanoparticelle possono avere sulla salute.

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Foto di National Cancer Institute su Unsplash

Cellule

“Lo studio dimostra- prosegue l’esperta- che le micro e le nanoparticelle di polistirene assorbite dalle cellule del colon umano inducono cambiamenti nel metabolismo simili a quelli indotti dall’agente tossico azossimetano. Quest’ultimo è una molecola cancerogena e neurotossica molto studiata proprio per la sua capacità di indurre tumore al colon. Quello che emerge dallo studio effettuato mediante approcci innovativi di metabolomica (la scienza che studia in dettaglio il metabolismo e i processi metabolici), è che cellule sane di colon umano, sottoposte all’esposizione sia acuta che cronica di particelle di polistirene, mostrano un’alterazione del metabolismo e un aumento dello stress ossidativo. Infine, lo studio ha evidenziato che l’esposizione da plastica induce alterazioni metaboliche tipicamente riscontrate nel formazioni cancerose. Indicando una potenziale azione delle micro e nano plastiche come fattore di rischio tumorale del colon. A oggi, questo è uno dei pochi studi che fornisce informazioni su quale potrebbe essere l’effetto della plastica all’interno del nostro organismo“. Altri studi recenti condotti sull’acqua di rubinetto, in bottiglia e di sorgente hanno dimostrato che microparticelle sono presenti in tutte le fonti d’acqua analizzate (Cox e altri). Analisi dell’acqua di rubinetto proveniente da 159 fonti diverse hanno evidenziato che l’81% dei campioni conteneva microparticelle inferiori a 5 millimetri (Kosuth e altri). Altri studi condotti su 259 bottiglie d’acqua di 11 marche diverse e 27 lotti diversi hanno mostrato che il 93% dei campioni conteneva microparticelle di plastica (Mason e altri). Un altro studio ha ritrovato elevati livelli di microplastiche nell’acqua minerale imbottigliata in 22 diversi materiali plastici multiuso (rispetto ai contenitori monouso in plastica o cartone), nonché nelle bottiglie di vetro (Schymanski e altri).

Sos particelle

“Questo conferma- sottolinea  Daniela Gaglio- quanto lo studio di Qian e altri., pubblicato sulla rivista PNAS, sia interessante per la comunità scientifica anche considerando che particelle di micro e nano plastica sono state trovate in vari organi: colon, polmone, cuore e placenta. Come correttamente dichiarano gli autori, molto poco si conosce dell’effetto che hanno queste particelle sul nostro organismo”.  Dunque, si può salvare l’insalata lavata e tagliata pronta in busta e gli imballaggi per il take away. Ma non la plastica monouso attorno a frutta e verdura fresche se non trasformate: dovranno sparire dall’Ue dal 2030, assieme alle singole confezioni monouso per alimenti e bevande in vendita per il consumo in bar e ristoranti. Addio dal 2030 anche ai mini shampoo e campioncini vari negli alberghi. Sono alcuni degli elementi dell’intesa raggiunta tra i negoziatori del Consiglio Ue e del Parlamento europeo, per la riforma sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggi.

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Foto di ALEXANDRE LALLEMAND su Unsplash

Obiettivo

Resta comunque confermato l’obiettivo ambizioso posto sin dall’inizio dalla Commissione europeo nella proposta di regolamento di arrivare a un calo dei rifiuti da imballaggio del 5% entro il 2030, del 10% nel 2035 e del 15% entro il 2040. Gli effetti dell’intesa andranno compresi a una lettura più attenta delle norme definitive concordate al cosiddetto trilogo, ma a quanto pare tra i temi più sensibili della riforma sono previste deroghe agli obiettivi per il riuso degli imballaggi per bevande di almeno il 10% entro il 2030: gli Stati membri potranno concedere una deroga di cinque anni se ad esempio al 2025 verrà superato del 5% l’obiettivo sul riciclaggio. Gli obiettivi sul riuso al 2040 saranno poi indicativi. Saranno poi esentate le microimprese e gli operatori potranno raggrupparsi fino a cinque distributori finali per raggiungere gli obiettivi sul riuso delle confezioni per le bevande. Quanto all’insalata in busta ‘salvata’, sembra a una prima lettura che faccia parte delle possibili esenzioni che sono consentite agli Stati membri “se ci sia un bisogno dimostrato di evitare spreco di acqua, di freschezza o rischi microbiologici, ossidazione” eccetera. Nel testo finale, poi, sul divieto dal 2030 alla plastica monouso per le singole confezioni di frutta e verdura sotto gli 1,5 chili spunta poi la dicitura “non processate”.

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Pfas nelle acque

Intanto un nuovo rapporto pubblicato da Greenpeace Italia, basato su dati ufficiali degli enti pubblici piemontesi ottenuti dall’organizzazione ambientalista tramite istanze di accesso agli atti, sostiene che la contaminazione da Pfas nelle acque potabili del Piemonte non interessi solo l’area della provincia di Alessandria, in cui questo tipo di inquinamento è noto già da tempo. Ma anche altre zone della città metropolitana di Torino, con oltre 70 comuni coinvolti, incluso il capoluogo. Secondo una stima realizzata da Greenpeace Italia, nella regione Piemonte circa 125 mila persone potrebbero aver bevuto acqua contaminata da Pfoa. Si tratta di una molecola del gruppo dei Pfas classificata come cancerogena per gli esseri umani. In Piemonte ha sede l’unica produzione ancora attiva di questi composti in Italia, il polo chimico di Solvay Specialty Polymers a Spinetta Marengo, nel comune di Alessandria. Oltre ai dati ottenuti dagli enti pubblici, Greenpeace Italia ha effettuato dei campionamenti indipendenti che hanno evidenziato la presenza di Pfas anche in aree non ancora monitorate. In particolare, nel comune di Galliate, nel novarese, nell’alessandrino e nell’acqua potabile di decine di comuni della città metropolitana di Torino. “Per anni – dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – si è ritenuto che la contaminazione da PFAS in Italia interessasse solo il Veneto o la zona dell’alessandrino in Piemonte, aree che hanno ospitato od ospitano tuttora stabilimenti industriali. Purtroppo, però, l’inquinamento da PFAS è molto più esteso. Già nei mesi scorsi abbiamo dimostrato come il problema riguardi anche molte aree della Lombardia. Oggi siamo costretti a denunciare che anche in Piemonte ci sono altre zone in cui il problema è rilevante e interessa decine di migliaia di persone”.