“Era il 2016. Tutti mi dicevano: ‘Paolo, buttati sui social, buttati sui social’…e io mi sono buttato, ma nel sociale!”. Definire un comico Paolo Ruffini, livornese classe ’78, è riduttivo. Pur essendo noto al grande pubblico come attore e presentatore è anche regista, sceneggiatore e produttore teatrale.
Sabato 6 maggio ha partecipato al Disconnect Day di Fabriano presentando presso il Teatro Gentile a una platea gremita il film Ragazzaccio, sceneggiato con l’Associazione Di. Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo) e incentrato sul tema del Cyberbullismo e delle difficoltà che hanno vissuto gli adolescenti durante il lockdown per il Covid-19, tra DAD e primi innamoramenti. Lo sguardo è comunque ottimista: ragazzi che a volte sbagliano ma con la consapevolezza che – come recita la locandina del film – il virus più contagioso è ancora l’amore.
Interris.it ha intervistato Paolo Ruffini dopo la proiezione chiedendogli le motivazioni che lo hanno spinto a diventare un regista di film e documentari impegnati che toccano tematiche sociali attuali e scottanti, quali la malattia mentale, la disabilità, il covid, il cyberbullismo, la solitudine.
“Non ho una motivazione ‘eroica’, né ho attinto dalla mia esperienza personale: ho fatto un film con i ragazzi down, intitolato Up & Down – Un film normale, e non ho parenti con la trisomia 21; ho girato nel 2021 – in piena pandemia – un documentario sull’Alzheimer, PerdutaMente, ma non ho nessuno in famiglia con tale malattia; non ho figli e ho fatto Ragazzaccio, un film sugli adolescenti e il cyberbullismo”.
“Siamo in un momento storico dove dal punto di vista culturale c’è un grande ‘piattume’ e dove c’è bisogno di far tornare ad emozionare il pubblico. Ho cercato di fare film che potessero emozionare tutti, anche me. Tutto quello che faccio, lo faccio perché penso che sia necessario andare oltre le apparenze. I miei film sono delle piccole indagini, delle ricerche che danno soddisfazione anche a me”.
“Il lavoro che svolgo con le persone con sindrome di Down è qualcosa che mi fa stare bene – prosegue Ruffini -. Noi cosiddetti ‘normali’ siamo di una noia mortale! Io ho un disturbo dell’attenzione e mi annoio molto facilmente, ma con i ragazzi down non mi annoio mai. Tratto temi sociali, anche scomodi, perché penso che sia necessario andare oltre le apparenze per comprende la realtà e avvicinarci agli altri, uscire dalla solitudine. Anche dalla solitudine dei social: siamo tutti iperconnessi, ma drammaticamente distanti, isolati! Dai social dunque dobbiamo tornare al sociale, alla vita offline. Perché, come dice il protagonista di Ragazzaccio, la vita può essere difficile ma è comunque bellissima!”.
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