Maronta (Limes): “Quali soluzioni per Putin dopo il semi golpe del gruppo Wagner”

L'intervista di Interris.it al dottor Fabrizio Maronta, consigliere scientifico e responsabile delle relazioni internazionali di Limes, sulla situazione in Russia e sui possibili risvolti

Foto di Valery Tenevoy su Unsplash

Il 24 giugno in Russia il potere di Vladimir Putin è stato messo in discussione e solo il tempo, ora, dirà quanto fragile, o meno, è il presidente. Dopo mesi di critiche sempre più violente contro le istituzioni militari, il gruppo Wagner, guidato da Yevgeny Prigozhin, è penetrato in territorio russo. Senza incontrare, apparentemente, alcuna resistenza. Il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu non ha fermato la ribellione, durante la quale il capo della Wagner aveva chiesto al ministro di incontrarlo a Rostov prima di sospendere l’ammutinamento. Nella serata del 24 giugno, Prigozhin ha annunciato la marcia indietro “per evitare un bagno di sangue russo”.

La crisi tra l’esercito regolare russo e il leader del gruppo Wagner rivela crepe nel sistema di potere di Vladimir Putin. Chiamato alla difficile scelta tra l’appoggio ai generali o al gruppo paramilitare. Impossibile far finta di niente dopo l’ammutinamento “lampo” della Wagner. La situazione resta complessa nonostante il Cremlino abbia fatto sapere che a Prigozhin e ai suoi uomini verrà garantita l’immunità in considerazione dei loro “meriti al fronte”.

Interris.it ha chiesto un chiarimento del nuovo scenario russo al dottor Fabrizio Maronta, redattore, consigliere scientifico e responsabile delle relazioni internazionali di Limes, rivista italiana di geopolitica.

L’intervista a Fabrizio Maronta di Limes

Quali sono le cause dello scontro interno tra Prigozhin e Shoigu ?

“Lo scontro in realtà riguarda tre personalità russe: il leader del gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore russo, il generale d’armata Valerij Vasil’evič Gerasimov. Erano due gli obiettivi principali di Prigozhin: puntare il dito contro l’insieme della leadership militare russa perché da lui ritenuta fallimentare. Costringere Putin alla sostituzione del ministro e del generale con altri uomini. Di cui ha fatto anche nome e cognome: trattasi dei loro stessi vice”.

Cosa aspettarsi nell’immediato futuro alla luce dello scontro tra Prigozhin e Sergei Shoigu?

“Questo semi golpe ha indebolito strutturalmente la leadership di Putin, nonostante l’attacco di Prigozhin non fosse diretto verso Putin (ma verso la leadership militare) e indipendentemente dalle prossime mosse del Cremlino. Il gruppo Wagner è una società militare privata creata nel 2013 proprio da Putin. In Ucraina ha mandato a combattere 50 mila uomini, tra cui ex galeotti. Ma ha subito moltissime perdite. L’ammutinamento della sua creatura è un grave colpo inferto alla leadership putiniana”.

Perché parla di indebolimento della leadership putiniana?

“Il gruppo Wagner è riuscito ad arrivare a 200 km da Mosca perché nessuno a Rostov l’ha fermato. Le possibilità ora sono due: o Putin non ha ordinato di fermarlo; o lo ha ordinato, ma l’ordine non è stato eseguito. In entrambi i casi Putin non ne esce bene come immagine dinanzi ai suoi detrattori. Se Putin non vuole dare al mondo l’impressione di essersi indebolito e di non controllare né Prigozhin né il proprio esercito regolare deve fare una scelta”.

Quale scelta?

“Quella verosimilmente tra due soluzioni. La prima è di licenziare Prigozhin e smembrare o sciogliere la Wagner, integrando nell’esercito regolare i miliziani che non abbiano dimostrato di essere contro Putin. La seconda soluzione è quella di far calmare gli animi e poi di ‘decapitare’ – in senso figurato – i vertici militari”.

Quale delle due soluzioni è la più probabile?

“La seconda soluzione (il cambio dei vertici militari) sembrerebbe essere quella più realistica”.

Cosa glielo fa dire?

“Diversi eventi. Intanto, il fatto che ieri Putin ha dichiarato la volontà di non perseguire penalmente quanti hanno preso parte al golpe nel caso si fossero ritirati. Cosa che poi effettivamente hanno fatto. E poi perché Prigozhin dopo l’ammutinamento non è scappato in qualche Paese lontano, ma il Cremlino stesso ha fatto sapere che il capo della compagnia militare è in Bielorussia. Stato notoriamente vassallo di Putin. Non si tratta dunque di una fuga perché farlo lì non avrebbe senso. Se Prigozhin ha accettato di andare in Bielorussia è perché probabilmente ha avuto garanzie da parte di Putin di incolumità”.

Qual è stato il ruolo del presidente bielorusso Alexander Lukashenko?

“Lukashenko si è presentato come il mediatore tra le parti. Credo invece che non abbia il potere per influire sulle decisioni e sulle meccaniche del Cremlino; penso che stia facendo da ‘testa di legno’ per un processo indirizzato verso l’amnistia. Che significherebbe il non scioglimento del gruppo Wagner. Tra l’altro, gruppo di fondamentale importanza in altri contesti extra europei, ma centrali per la politica russa, quali il Congo, la Siria e la Libia”.

Quali conclusioni trarne?

“Se il gruppo Wagner non verrà sciolto, l’ira di Putin probabilmente cadrà sulla testa dei capi dell’esercito: il ministro Shoigu e il generale Gerasimov. Con una possibile sostituzione, come più volte paventato dallo stesso Prigozhin che appoggia i loro vice. Non ho certezze matematiche, ma mi sentirei di escludere che Putin, dopo questo semi golpe, non farà nulla. Perché significherebbe dare un’immagine di debolezza non solo all’Occidente, a partire da Usa, Ue ed Ucraina, ma anche agli ‘amici’, in primis la Cina. Credo che sceglierà di defenestrare i capi militari, anche considerando che in Ucraina non stanno di certo vincendo. Ma, indipendentemente da tutto, questi giorni hanno mostrato una grave crisi interna dell’establishment russo. Non solo dinanzi al mondo, ma – cosa forse più grave – anche davanti agli occhi del popolo russo”.