Mafia, Ayala: “Come diceva Falcone, saranno i giovani a cambiare la storia”

L’intervista di Interris.it al magistrato Giuseppe Ayala, collega di Giovanni Falcone e Paolo borsellino e vicepresidente della Fondazione Falcone, sulla lotta alla mafia nell’anniversario dell’omicidio di Giuseppe Petrosino

Giovanni Falcone e Giuseppe Ayala

Il 12 marzo del 1909 veniva ucciso a Palermo per mano della mafia americana l’investigatore italo-americano Giuseppe Petrosino. Giuseppe, detto Joe (Padula, 30 agosto 1860 – Palermo, 12 marzo 1909), è stato un poliziotto italiano naturalizzato statunitense, un pioniere nella lotta contro il crimine organizzato. Le tecniche di lotta al crimine, di cui Petrosino è stato ideatore, sono ancora oggi praticate dalle forze dell’ordine.

Nell’anniversario dell’assassinio per mano mafiosa, Interris.it ha intervistato il magistrato Giuseppe Ayala, collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e vicepresidente della Fondazione Falcone.

L’intervista al magistrato Giuseppe Ayala

Come Joe Petrosino, anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno pagato con la vita la loro lotta alla mafia. Quali sono le loro eredità morali e professionali?

“Non sono stati solo Petrosino, Falcone e Borsellino a morire per mano della mafia. Sono moltissime le persone uccise dalla criminalità organizzata. E questo fa capire quanto la mafia sia pericolosa: non si tratta solo di un fenomeno criminale, anche se lo è, ma un fenomeno che è in grado di infiltrarsi nella società, nell’economia e nella politica.
Non in tutta la politica. Quella sana e onesta ne è immune.
Le persone come Petrosino, Falcone e Borsellino e tante altre che hanno contrastato con notevole successo la mafia lasciano nella nostra memoria un esempio da seguire e da trasferire ai giovani perché si formino nella consapevolezza dell’importanza della legalità in generale, e non solo contro la criminalità organizzata. Perché il rispetto delle regole è la salute della nostra società democratica”.

Pensa ancora spesso ai suoi colleghi, dopo tanti anni dalla morte?

“Certamente, loro mi mancano da morire. Abbiamo vissuto 10 anni della nostra vita insieme. Non solo professionalmente, perché erano degli amici. Io, in particolare, ero legato a Falcone che conoscevo da più tempo. Ma avevo un ottimo rapporto anche con Borsellino. Di certo hanno lasciato un grande esempio. Ciò nonostante, a loro darebbe molto fastidio se li avessero chiamati ‘eroi’.  Sono due grandi Uomini, con la U maiuscola”.

Che ricordo ha della loro amicizia?

“I ricordi potrebbero riempire un’enciclopedia. Anche i ricordi personali, a prescindere dal lavoro. Avevamo una comunanza sul lavoro che fece nascere un’amicizia sincera. Ci legava molto l’ironia. Borsellino era travolgente, Falcone un po’ demenziale. Ma volutamente.
Questa ironia era un istintivo antidoto per la vita difficile che facevamo, con tantissime limitazioni. Una vita blindata è una vita da non augurare a nessuno: io per 20 ani non sono potuto andare a comprarmi un giornale o le sigarette dal tabaccaio. Loro, oltre a vivere tutto questo, hanno inoltre perduto anche la vita. Io amo ricordarli sempre con il sorriso. Loro due, inoltre, erano legati da un’amicizia antica: tra di loro si conoscevano sin da bambini. Erano quasi coetanei (Falcone del ’39 e Borsellino del ’40) e cresciuti nello stesso quartiere. Si capivano senza neppure parlarsi, semplicemente con uno sguardo. Personalmente, ritengo di avere avuto dalla vita un grandissimo privilegio: quello di essere stato amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino”.

In che modo la mafia ha cambiato pelle dopo la fine della fase stragista?

“E’ tornata ad essere se stessa ed è un bel problema! Non che io rimpianga il periodo stagista, non fraintendiamo! Tutt’altro… ma il periodo stragista è durato una quindicina d’anni, dalla fine degli anni ’70 al 1993. E’ stato voluto e attuato dai Corleonesi, senza di loro probabilmente non ci sarebbe mai stato. Ma la storia della mafia è molto più vecchia. La prima inchiesta sulla mafia fu di tipo sociologico e venne fatta da Franchetti e Sonnino nel 1876! Dopo il 1993 la mafia ha capito che lo stragismo non conveniva: anche perché hanno preso delle ‘botte’ dallo Stato davvero forti. Prima dei Corleonesi, tutto era nell’ombra, sotto silenzio. Le stragi hanno acceso un faro sulla mafia che non ha più potuto far finta di non esistere. Ma guai a pensare oggi che la mafia sia scomparsa o sconfitta. E’ semplicemente tornata nell’ombra. E al momento non gode di buona salute. Ma ha comunque la capacità – come l’ho definita anche in diversi procedimenti giudiziari – di ‘clandestinizzarsi’, cioè di comparire il meno possibile. Esiste, ma non si vede. Ma gli omicidi di mafia, come fu quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa o di Piersanti Mattarella hanno attirato l’attenzione dei media e modificato l’opinione pubblica sui cosiddetti ‘uomini d’onore’. In definitiva, oggi la mafia non gode di ottima salute: i colpi assestati dallo Stato a boss storici e a decine di membri delle varie famiglie l’hanno indebolita non poco. Non è comunque sconfitta ed è tornata alla clandestinità. Nessuno pensi che sia ricoverata in rianimazione, è solo un po’ acciaccata: la strada per sconfiggerla purtroppo è ancora lunga”.

Che cosa ha rappresentato l’arresto dell’ultimo grande latitante, Matteo Messina Denaro, nella lotta alla mafia? E’ un punto di arrivo o di partenza?

“E’ un punto di arrivo che abbiamo aspettato per 30 anni! Rendo onore ai ROS dei Carabinieri che hanno condotto delle pazienti e certosine indagini che hanno portato finalmente alla cattura. E bravissimi anche i colleghi alla procura della Repubblica. Non credo però che Messina Denaro sia mai stato il successore di Toto Riina e Bernardo Provenzano. Perché a Palermo sono state sempre le famiglie di Palermo a guidare la Mafia palermitana, già i Corleonesi furono un’eccezione. Messina Denaro è un trapanese. La mafia trapanese è molto forte. Ma ciò non fa di lui il capo della mafia palermitana. Ciò non toglie che è un elemento di spicco e di primissima importanza. Il suo arresto è stato certamente un punto di arrivo perché chiude una parentesi (durata sin troppo tempo) della mafia. Ma anche un punto di partenza contro Cosa nostra. Credo che i mafiosi non abbaino ricostruito la commissione cioè il vertice di comando. Credo che al posto di un ‘boss dei boss’, ci sia un accordo di spartizione delle zone e delle attività tra le varie famiglie. In pratica: c’è una cupola tra le famiglie palermitane, ma non c’è più un capo dei capi perché hanno un accordo tra di loro”.

Questo accordo tra famiglie mafiose è efficiente, sta funzionando?

“Credo proprio di sì. Lo si deduce dal fatto che non c’è più stato un omicidio di mafia. Infatti, tra di loro, le varie famiglie risolvono i problemi ammazzandosi. Il fatto che non ci siano omicidi significa che c’è un accordo che regge”.

La mafia ha una motivazione ideologica alla base, come il terrorismo?

“No. La finalità dei mafiosi è mettere in atto un circuito perverso detto delle ‘due P’: Potere e Profitto. L’uno è funzionale all’altro: tanto più potere hai, tante più occasioni di profitto ottieni; e tanto più profitto accumuli, tanta più forza hai nel condizionare il potere. Compreso il potere politico!”.

Lei è vicepresidente della fondazione Falcone. Come è nata e qual è la sua missione?

“La fondazione è nata dall’idea di una grande donna, Maria Falcone, sorella di Giovanni, ucciso dalla mafia a Capaci il 23 maggio del 1992. Maria ha istituito la Fondazione poco dopo la morte del fratello: il 10 dicembre 1992. Una donna di grande spessore e che amava molto suo fratello. Dopo la sua morte ha voluto dare continuità alla figura di Giovanni, alla sua opera e al suo pensiero. La finalità della Fondazione è uno dei valori in cui credeva tanto Giovanni: promuovere la legalità tra i giovani. La Fondazione fa attività in tantissime scuole e università italiane. L’idea di Giovanni Falcone era proprio che, per educare le persone alla legalità, bisognasse iniziare ad insegnarla ai bambini, dalle scuole elementari. Insegnando loro l’importanza che le regole hanno per la qualità della vita sociale. Maria Falcone ha dato questa finalità alla Fondazione: promuovere, attraverso attività di studio e di ricerca, la cultura della legalità nella società e in particolare nei giovani. La Fondazione opera da oltre 30 anni, curando, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, le celebrazioni che si tengono ogni 23 maggio a Palermo, nell’anniversario della strage di Capaci, alla presenza delle massime autorità dello Stato e di migliaia di studenti che arrivano da tutta Italia con la ‘Nave della Legalità’. Io sono orgoglioso di esserne il vicepresidente. Rocco Chinnici diceva: ‘vado nelle scuole a parlare coi giovani e a piantare il seme della legalità. Poi, se la pianta cresce non lo so. Ma se non pianti il seme, è sicuro che non cresce!’ Fu una lezione di vita straordinaria che feci mia per tutta al vita. E’ quello che fa la Fondazione Falcone: semina legalità. Speriamo che le piante crescano! In trenta anni, ne sono cresciute tante. Perché, come diceva Falcone, contro la mafia sono i giovani che cambieranno la storia”.