Né introverso né estroverso: ambiverso?

Che cosa si intende con il termine ambiverso, definizione del carattere e della personalità

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

È definito come “ambiverso” (per gli inglesi “ambivert”) colui che, nell’arco dei tratti della personalità, si colloca nel mezzo fra l’estroverso e l’introverso e riesce a essere molto duttile nelle relazioni sociali. Non si tratta dell’essere umano perfetto ma di chi, senza avere meriti speciali o superiori rispetto alle altre due “categorie”, dimostra grande equilibrio, costanza, empatia, capacità di tollerare i momenti difficili e di apprezzare quelli felici. Non si pone in una posizione di superiorità, sa leggere bene le sensazioni altrui e tende a prodigarsi per il prossimo, mettendo da parte una percentuale dell’“io” che, in forma attiva o passiva, si riscontra nell’essere come estroverso o introverso.

Sia il soggetto che presenta un aspetto più riservato e chiuso e sia quello che, al contrario, è ipersocievole e aperto a tutto (aspettandosi sempre l’approvazione altrui), devono esser sempre rispettati, senza critica o confronto, così come coloro che si pongono, al sicuro, nel mezzo tra le due categorie precedenti. Occorre prestare soltanto attenzione ad atteggiamenti estremi che potrebbero sfociare in patologie mentali, di insoddisfazione, di un rapporto non condiviso dalla comunità, dal gruppo sociale. L’equilibrio è un obiettivo raggiungibile con serenità e costruzione continua: pretenderlo a forza e fatica, rischia di realizzare un’incompiuta, poco aderente alla verità. L’input iniziale sta nell’evitare la presunzione di essere più equilibrati degli altri e, parimenti, non cedere alla rassegnazione (e all’arrendevolezza) nel volersi considerare inferiori e incapaci.

Chi è polarizzato agli estremi, ha due scelte: mirare a smussare il proprio carattere e puntare a una zona centrale di equilibrio oppure ritenersi al sicuro e a suo agio nella situazione in cui si trova. Il dubbio può rimanere vivo: cambiare o star fermi? Il cambiamento è migliorativo o peggiorativo? L’ambiverso denota sicuramente una maggiore elasticità, senza preclusioni, in grado di adattarsi, senza piegarsi del tutto, in un’intelligente osmosi fra fermezza e vivacità.

I tratti della personalità hanno riflessi nel sociale, a livello affettivo e dal punto di vista lavorativo. In una società in cui le relazioni sociali si alternano vorticosamente e viaggiano sempre più veloci, anche sull’onda di un clic, la duttilità del carattere può costituire un comodo punto a favore. In alcune attività lavorative, particolarmente basate sulle relazioni sociali e nei rapporti umani, tale temperamento può risultare più adatto. I test di personalità, somministrati dalle aziende ai candidati per l’assunzione, possono rivelare, per gli ambivert, una migliore predisposizione di partenza.

Daniel H. Pink, scrittore statunitense, è l’autore del volume dal titolo “Drive” (sottotitolo “Cosa davvero guida la nostra motivazione”), pubblicato nel febbraio dello scorso anno da Ayros. Pink afferma “Non sono le motivazioni estrinseche – le ricompense materiali, gli incentivi in denaro – a conferire unità e significato ai comportamenti delle persone, dunque a motivarle. […] Gli elementi che guidano la nostra motivazione consentendoci di agire con efficacia e soddisfazione sono tre: l’autonomia, che nasce dal profondo bisogno umano di imprimere una direzione alla propria esistenza; la padronanza, intesa come il saper fare le cose e saperle fare sempre meglio; lo scopo, cioè uno schema più vasto in cui inscrivere le nostre azioni. Né il bastone né la carota possono motivare fino in fondo le persone”.

Lo psicologo Hans Eysenck lega l’introversione e l’estroversione alla maggiore o minore eccitazione corticale a livello cerebrale. Una minore eccitazione corticale conduce l’individuo, estroverso, a cercare stimoli all’esterno; condizione opposta per la persona introversa. Il link https://www.thewom.it/lifestyle/selfcare/personalita-introversa (social magazine delle nuove generazioni di donne), nel maggio 2022, ricordava “In genere, una percentuale tra il 25-40% della popolazione mediamente è introversa” e riportava lo schema di Eysenck “Il 15% delle persone ha un set point minimo, il che significa che ha naturalmente bassi livelli di eccitazioneil 15% delle persone ha un setpoint alto, il che significa che tende naturalmente ad essere più eccitatoil 70 per cento delle persone si trova da qualche parte nel mezzo del continuum”.

L’ambiverso si troverebbe, quindi, in una perfetta posizione centrale, dominante, lasciando la stessa fetta (minima ma in assoluta parità) alle altre due condizioni. Papa Francesco, all’Udienza Generale del 17 aprile 2019, precisò “Nell’abbandono di tutti, nella desolazione interiore Gesù non è solo, sta col Padre. Noi, invece, nei nostri Getsemani spesso scegliamo di rimanere soli anziché dire ‘Padre’ e affidarci a Lui, come Gesù, affidarci alla sua volontà, che è il nostro vero bene. Ma quando nella prova restiamo chiusi in noi stessi ci scaviamo un tunnel dentro, un doloroso percorso introverso che ha un’unica direzione: sempre più a fondo in noi stessi. Il problema più grande non è il dolore, ma come lo si affronta. La solitudine non offre vie di uscita; la preghiera sì, perché è relazione, è affidamento”.

È importante la prospettiva con la quale considerare la “condizione” dell’ambiverso. In chiave negativa potrebbe essere considerato come una persona molto scaltra e attenta, pronta a non compromettersi e a non inimicarsi, nel non prendere posizione e vantarsi di questa caratteristica caratteriale. Tale eventuale aspetto, tuttavia, sembrerebbe più un atteggiamento difensivo e indifferente: non nel mezzo ma furbo e potenzialmente egoista. La condizione di ambiverso non è un merito da ostentare o un risultato certificato e misurabile: si tratta di un sostanziale equilibrio mentale, di sana alternanza di emozioni e coinvolgimento, una “via di mezzo” aristotelica che, però, non somiglia a una passiva rinuncia bensì a una visuale positiva e attiva. Alcuni considerano artificiosa tale struttura della personalità. È importante, tuttavia, non screditarne la possibilità e non far sentire come “diverso” colui che si ritiene in tale stato.

Essere ambiverso non si traduce in una sorta di patente a punti, certificata e immutabile: l’individuo si muove e pensa con naturalezza, oscillando senza estremizzare, consapevole della costruzione quotidiana del suo essere, senza forzature ed esteriorità. In un’epoca di grande vocazione alla tassonomia e alla classificazione, risulta complesso accettare queste sfaccettature di mezzo, poco omologabili. Solitamente, parlare e ascoltare sono elementi di un caleidoscopio dal quale poter aver indizi nel classificare e giudicare le persone, nella “scala” che procede dall’introverso, passando per l’ambiverso sino all’estroverso. Si tratta di costruzioni molto teoriche e poco veritiere. Una persona equilibrata, infatti, non conta le parole che dice e, al tempo stesso, sa bene come queste variabili non siano matematiche ma legate alle circostanze, allo stato d’animo, all’argomento e ad altri elementi.

L’ambiversione non ha confini assoluti: si muove tra i tratti introspettivi e solitari dell’introverso e quelli esteriori e sociali dell’estroverso; il tutto al di là dei tentativi (studi, test, ecc.) di classificare, arginare e bollare il soggetto in rigidi schemi di personalità. Non si tratta di etichette certificate: la persona equilibrata si concretizza, a esempio, nell’alternare giorni in cui ha desiderio di uscire con gli amici, ad altri in cui preferisce rimanere da solo o a dedicarsi a qualche attività personale; in questo caso non assume le posizioni “estreme” di chi rinuncia sistematicamente a ogni incontro o chi approfitta di ogni occasione per divertirsi e rimandare gli impegni.

Papa Benedetto XVI, nell’enciclica “Deus Caritas Est” precisa che l’uomo “Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono”. Ambiverso è, soprattutto, colui che non è tiepido e che, al tempo stesso, senza promettere e vantare, sa tendere la mano al prossimo accanto, soprattutto quello più svantaggiato, con i giusti tempi e modi. Non primeggia nel dialogo e non si chiude nel silenzio: ascolta l’altro e risponde d’afflato, in una dialettica di crescita reciproca.