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Tra dottrina e legislazione: perché il “fine vita” è una frontiera di civiltà

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Il fine vita come spartiacque di civiltà. A richiamare l’attenzione sui risvolti sociali dei temi bioetici è il vescovo salesiano Mario Toso. Tra i più autorevoli esperti di Dottrina sociale della Chiesa. Membro in Cei della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Presule di Faenza- Modigliana. Ex segretario nella Curia vaticana del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

Il valore della vita

“La Chiesa di Faenza-Modigliana- spiega monsignor Mario Toso- si è interrogata di fronte alla Lettera ‘Samaritanus bonus’ della Congregazione per la Dottrina della fede (2020). Si è domandata come tradurre il messaggio della parabola del Buon samaritano. Nella capacità di accompagnamento della persona malata nelle fasi terminali della vita. In modo da assisterla. Rispettando e promuovendo sempre la sua inalienabile dignità umana. La sua chiamata alla santità”. Il risultato di questa riflessione trova espressione un volume che risulta attualissimo. E centrale nel dibattito pubblico. Ora che il disegno di legge sul “fine vita” è in discussione in Parlamento.

Contributi

Un libro per approfondire una delle tematiche più dibattute degli ultimi anni. E’ ciò che affrontano le 99 pagine di “Fine vita. Il punto tra dottrina della fede, legislazione statale ed esperienza medica”. Il volume è stato pubblicato in questi giorni dalla Tipografia Faentina. A cura del vescovo della diocesi di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso. Raccoglie i contributi di Paolo Carlotti (Pontificia Università Salesiana). Dell’avvocato Paolo Bontempi. E del dottor Angelo Gambi. Il volume è corredato di tabelle e grafici. A supporto del lettore. Gli autori affrontano una delle tematiche più vive e più discusse. Quella dell’eutanasia. O meglio quella della cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. “Su questo tema si misura il grado di civiltà di una società. E delle sue molteplici culture“, puntualizza il vescovo Toso.

Accompagnamento

“La materia delle decisioni di fine-vita costituisce un terreno delicato e controverso“. Per questo “la strada più convincente ci sembra quella di un accompagnamento che assuma l’insieme delle molteplici esigenze personali in queste circostanze così difficili. È la logica delle cure palliative. Che anche contemplano la possibilità di sospendere tutti i trattamenti che vengano considerati sproporzionati dal paziente. Nella relazione che si stabilisce con l’équipe curante“, chiarisce la Pontificia Accademia per la Vita. Con alcune domande-chiave: “Non pone proprio alcun interrogativo la legittimazione ‘di principio’ del suicidio assistito? O addirittura dell’omicidio consenziente? Non risulta alcuna contraddizione ad una comunità civile che considera reato grave l’omissione di soccorso, anche nei casi presumibilmente più disperati? E che è pronta a battersi contro la pena di morte, anche di fronte a reati ripugnanti?”.

L’origine della questione

Nel luglio del 1997, a 52 anni Piergiorgio Welby fu colto da una crisi respiratoria. La moglie Mina chiamò i soccorsi. Da quel momento Piergiorgio restò attaccato ad un respiratore artificiale. “Non sono né un malinconico né un maniaco depresso. Morire mi fa orrore. Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche”. Con queste parole Piergiorgio Welby nel settembre 2006 si rivolse al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Per chiedere il diritto a morire con dignità. Welby aveva ingaggiato una lotta non violenta. Primo a rivendicare con forza il diritto a interrompere la propria vita. Devastata da una malattia irreversibile. La sua richiesta fu giudicata inammissibile dal giudice. Non c’era nessun appiglio legislativo.

Referendum

Adesso una tappa si compirà a febbraio. Quando la Corte Costituzionale si esprimerà sull’ammissibilità del referendum sull’eutanasia. Un milione e duecentomila firme a sostegno sono state depositate ad ottobre in Cassazione. E il 15 febbraio si terrà l’udienza della Corte Costituzionale sull’ammissibilità del referendum. Viene chiesta  l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale. Ossia l’omicidio del consenziente. L’attuale legislazione unisce con la reclusione da sei a quindici anni chi procura la morte di una persona con il suo consenso. Con il via libera della Consulta, il voto dovrebbe tenersi entro la fine di giugno. In caso di esito favorevole al referendum, non sarebbe punibile l’eutanasia attiva. Se compiuta nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico. E in presenza dei requisiti introdotti dalla sentenza della Consulta sul caso Cappato-Dj Fabo. Resterebbe invece il carcere per chi ha commesso il fatto contro una persona incapace. Oppure contro una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia. O contro un minore di diciotto anni.
Giacomo Galeazzi: