Giornata Eliminazione Discriminazione Razziale, la situazione in Italia secondo il prefetto Rizzi

Il 21 marzo si celebra la Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale. Il punto sulla situazione italiana con il vice capo della Polizia di Stato, il prefetto Vittorio Rizzi

La Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (in inglese: International Day for the Elimination of Racial Discrimination) è una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1966 che si osserva ogni anno il 21 marzo.

Il massacro di Sharpeville

La data è stata scelta in ricordo del massacro di Sharpeville del 1960, la giornata più sanguinosa dell’apartheid in Sudafrica: 300 poliziotti bianchi uccisero 69 manifestanti che protestavano contro l’Urban Areas Act che imponeva ai sudafricani neri di esibire uno speciale permesso se venivano fermati nelle aree riservate ai bianchi. Una speciale commissione d’inchiesta denunciò il comportamento della polizia, mentre l’operato del governo sudafricano venne ufficialmente condannato dall’ONU.

Motivi della manifestazione

La manifestazione di Sharpeville era stata organizzata dal Pan Africanist Congress (PAC) per protestare contro il decreto governativo dello Urban Areas Act, informalmente chiamato pass law (“legge del lasciapassare“). I lasciapassare venivano concessi solo ai neri che avevano un impiego regolare nell’area.

I dimostranti (in numero compreso fra 5.000 e 7.000) si radunarono verso le 10 del mattino presso la stazione di polizia di Sharpeville, nell’odierno Gauteng; si dichiararono sprovvisti di lasciapassare e chiesero alla polizia di arrestarli. Le autorità usarono diverse forme di intimidazione per disperdere la folla, inclusi caccia militari in volo radente e lo schieramento di veicoli blindati della polizia. Alle 13:15, la polizia aprì il fuoco sulla folla. Secondo i dati ufficiali furono uccise 69 persone (inclusi 8 donne e 10 bambini) e oltre 180 furono ferite.

I motivi per cui la polizia decise di aprire il fuoco sono stati a lungo indagati. L’ufficiale in comando in seguito dichiarò che i dimostranti avevano iniziato a lanciare sassi. Inoltre, poche settimane prima alcuni poliziotti erano stati uccisi a Cato Manor.

Le indagini della Commissione per la verità e la riconciliazione stabilirono che “la decisione di aprire il fuoco era stata in qualche misura deliberata” e che c’era stata una “grossolana violazione dei diritti umani, in quanto era stata usata una violenza eccessiva e non necessaria per fermare una folla disarmata“.

Un’immagine storica del massacro di Sharpeville

Conseguenze internazionali

La notizia del massacro contribuì a creare una escalation della tensione fra i neri e il governo bianco. In risposta al diffondersi della protesta, il 30 marzo il governo dichiarò la legge marziale. Seguirono oltre 18.000 arresti.

Il massacro divenne un punto di svolta nella storia sudafricana, dando inizio al progressivo isolamento internazionale del governo del National Party. Il 1º aprile, le Nazioni Unite condannarono ufficialmente l’operato del governo sudafricano con la risoluzione 134. Fu inoltre uno dei motivi che convinsero il Governo della Gran Bretagna a estromettere il Sudafrica dal “Commonwealth delle nazioni”, l’organizzazione che unisce Stati che in passato erano parte dell’Impero britannico.

Una battaglia non ancora vinta

In memoria di Sharpeville e di tutte le ingiustizie legate alla xenofobia, le Nazioni Unite hanno scelto il 21 marzo per celebrare la Giornata mondiale per l’eliminazione della discriminazione razziale.

A distanza di 61 anni, la violenza del razzismo non è stata ancora vinta. Assume le forme dell’indifferenza verso i bisognosi, del pregiudizio verso le minoranze, dell’antisemitismo e di tante altre forme di odio contro poveri, anziani, disabili, migranti, rifugiati, rom, persone senza fissa dimora. Ma anche contro donne e minori.

Gli odiatori seriali

Recentemente, l’odio viaggia in modo particolarmente subdolo anche attraverso la rete, nei social come nelle chat. Un fenomeno così diffuso da aver visto al necessità di coniare un nuovo termine: gli “haters“, vale a dire gli “odiatori seriali” che si nascondono dietro un apparente anonimato per scrivere commenti velenosi contro tutto e tutti.

La Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale pone domande urgenti sullo status attuale della giustizia e dell’eguaglianza. È da chiedersi infatti quanto sia ancora lunga la strada per un mondo senza discriminazioni, libero da ogni forma di disprezzo umano. E quale sia la reale situazione nel nostro Paese, colpito in pochi anni da una profonda crisi economica, da un’ondata migratoria senza precedenti e – recentemente – da un virus inaspettato quanto spietato.

Il vice capo della Polizia di Stato, il prefetto Vittorio Rizzi

L’intervista al Prefetto Vittorio Rizzi

Ne parliamo oggi con il Prefetto Vittorio Rizzi, vice capo della Polizia di Stato, direttore della Direzione Centrale della Polizia Criminale – organo interforze del Ministero dell’Interno che elabora le strategie di prevenzione e contrasto alla criminalità comune e organizzata – e Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD).

Prefetto Rizzi, il 21 marzo è la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. In Italia, quali sono gli ambiti o i contesti sociali dove la discriminazione è maggiormente presente e perché?
“Non è facile fornire una risposta a questa domanda sulla base di dati statistici perché l’attività di monitoraggio sulle varie forme di discriminazione è molto complessa. Per varie ragioni legate alle specificità dei crimini d’odio nonché ad alcuni limiti di natura tecnica e normativa, riusciamo (non solo in Italia, ma un po’ ovunque in Europa e nel mondo) a cogliere solo la punta dell’iceberg e siamo quindi in grado di delineare esclusivamente delle linee di tendenza generali”.

“Come Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori (OSCAD), facendo un bilancio di oltre un decennio di attività, posso dire che le discriminazioni ed i reati su base etnico/razziale costituiscono percentualmente oltre la metà dei casi pervenuti alla nostra mail dedicata (oscad@dcpc.interno.it). Sono numerosi anche i casi di odio religioso, con il triste primato rappresentato dall’odio di matrice antisemita, nonché i casi di omotransfobia e di violenze nei confronti delle persone disabili.

Quali sono le discriminazioni maggiormente attenzionate dai vostri uffici?
“Tutte le discriminazioni sono considerate dall’OSCAD di pari dignità perché la sofferenza della vittima non è diversa sia che si tratti di una violenza misogina, di un’azione razzista, di un atto omofobo”.

Quali sono gli organismi che sul piano nazionale, europeo ed internazionale si occupano di discriminazioni?
“Comincerei dal piano internazionale citando l’Un-Ohchr, l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani, ossia l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere e proteggere i diritti umani previsti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
L’Osce-Odihr, fornisce assistenza agli Stati partecipanti ed alla società civile per promuovere la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani, la tolleranza e la non discriminazione. Invia propri osservatori in occasione di elezioni, supporta i Paesi dell’area in materia di legislazione ed ai fini dello sviluppo e del sostegno delle istituzioni democratiche. Conduce programmi di formazione sulla promozione ed il monitoraggio dei diritti umani.
Il Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale istituita per difendere i diritti umani nel continente che dispone, quale organismo di monitoraggio, dell’Ecri (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza). Sul piano europeo, sempre più intensa è l’attività di impulso in tema di contrasto all’odio ed alle discriminazioni, nei confronti dei Paesi membri, da parte della Commissione Europea. Molto significativa, inoltre, l’azione della Fra, l’Agenzia e centro di expertise dell’Unione europea per i diritti fondamentali.
Infine, sul piano nazionale, oltre al ruolo dell’OSCAD, è fondamentale ricordare l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Equality body nazionale”.

La pandemia ha influito positivamente o negativamente sulle discriminazioni? Vale a dire: ha aiutato a far crescere la solidarietà o ha allontanato le persone facendo vedere l’altro come un ‘diverso’, un nemico?
“La risposta, anche in questo caso, è articolata: se da un lato stiamo assistendo, ancora una volta, ad un fortissimo movimento di solidarietà da parte dei tantissimi volontari che stanno lavorando senza tregua e forniscono un fondamentale contributo per contrastare gli effetti nefasti del COVID, ad esempio impegnandosi nell’ambito del sistema della Protezione civile – che è una vera eccellenza italiana – l’OSCAD ha, purtroppo, dovuto registrare diversi casi di intolleranza e violenza online e nella vita reale: da casi di aggressione “sinofobica”, nei confronti di persone di origine asiatica (soprattutto lo scorso anno, ad inizio pandemia), all’ultima, vergognosa ondata di odio on line subita dalla Senatrice Liliana Segre quando, recentemente, ha accettato di essere testimonial della campagna vaccinale“.

C’è un problema di superamento da parte degli italiani dei pregiudizi culturali nei confronti di Rom e minoranze? Viceversa, c’è un problema di integrazione di Rom e minoranze all’interno del tessuto sociale italiano?
“Credo che la risposta ad entrambe le domande non possa che essere affermativa: nel nostro Paese c’è indubbiamente un problema di superamento dei pregiudizi, soprattutto nei confronti di alcune minoranze, quali, ad esempio, le popolazioni Rom, Sinti e Caminanti, che deve essere affrontato alla radice, partendo da un’attenta azione di integrazione, sempre rispettosa delle specificità culturali del ‘gruppo di minoranza’. Si tratta, ovviamente, di un’azione particolarmente complessa che deve essere svolta a livello interistituzionale con il pieno coinvolgimento della società civile”.

“OSCAD in materia ha realizzato numerose iniziative di formazione mirata.
Ad esempio, proprio quest’anno tutti i poliziotti dovranno svolgere come aggiornamento professionale un corso sulla ‘profilazione etnico-razziale discriminatoria‘, vale a dire quel fenomeno per il quale le forze di polizia tendono a sottoporre le persone appartenenti a minoranze ad un numero sproporzionato di controlli, senza che ciò determini risultati positivi da un punto di vista operativo (come avallato da ricerche scientifiche internazionali), ma anzi causando sfiducia e mancanza di collaborazione. Mettersi in discussione e lavorare per combattere il pregiudizio credo che sia un segno di civiltà e di progresso”.

In conclusione, definirebbe l’Italia una Nazione discriminante o inclusiva? Perché?
“Dal nostro punto di osservazione, ci appare un’Italia nella quale, come già accennavo, convivono una grande e diffusa solidarietà con fenomeni di intolleranza e violenza verbale – sempre più pervasivi, soprattutto online – e, talvolta, violenza fisica. Compito delle forze di polizia deve essere quello di intercettare anche i più flebili segnali di intolleranza/violenza per contribuire a combattere con decisione ed efficacia la c.d. ‘normalizzazione dell’odio’. Mi riferisco, con questa espressione, allo schema della c.d. ‘Piramide dell’odio’ (elaborata dall’Anti-Defamation League), in base alla quale i fenomeni di intolleranza ‘a bassa intensità’, se non adeguatamente contrastati, rischiano di degenerare in episodi via via sempre più gravi con una escalation di violenza, sino ad arrivare a veri e propri hate crimes e, infine, alla massima espressione dell’odio che è il genocidio”.

Il Prefetto Rizzi presenta il progetto I-CAN (Interpol/Italy Cooperation Against ‘Ndrangheta) di cui è è co-driver insieme al Segretario Generale di Interpol.