Ceccanti: “In cosa consiste la riforma del premierato”

L’intervista di Interris.it al costituzionalista e professore di diritto all’Università di Roma “La Sapienza” Stefano Ceccanti

A destra nell'immagine: Palazzo Chigi. Foto: Consiglio dei Ministri. A sinistra: Stefano Ceccanti (per gentile concessione)

Lo scorso venerdì 3 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge costituzionale per introdurre l’elezione diretta del presidente del Consiglio, un progetto di riforma costituzionale in cinque articoli che mira alla stabilità degli esecutivi e alla governabilità. Il testo prevede, per la prima volta nel nostro Paese, l’elezione a suffragio universale con votazione popolare del capo del governo, contestualmente a quella delle due Camere.

Iter non ordinario

Le leggi costituzionali seguono un iter per l’approvazione differente da quelle ordinarie, secondo quanto prevede l’articolo 138 della Costituzione. Queste infatti devono essere adottate in due deliberazioni da entrambe le ali del Parlamento a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Se in questo passaggio le leggi sono approvate a maggioranza dei due terzi dei componenti di ogni Camera, l’approvazione è ritenuta definitiva. In caso ciò non avvenga, sono sottoposte a referendum se, entro tre mesi dalla pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

L’intervista

Per approfondire i contenuti del disegno di legge costituzionale che introduce l’elezione diretta del capo del governo, Interris.it ha intervistato il professore di diritto pubblico comparato all’Università “La Sapienza” di Roma Stefano Ceccanti.

In cosa consiste la riforma e quali obiettivi si pone?

“L’obiettivo, condivisibile e che nel nostro Paese perseguiamo da qualche decina di anni, è quello di avere governi stabili ed efficienti. La soluzione proposta è quella dell’elezione popolare diretta del presidente del Consiglio a cui ‘agganciare’ la maggioranza parlamentare, con un massimo di due governi a legislatura. Il disegno di legge prevede infatti che se cade il primo premier eletto gli può subentrare un altro parlamentare della maggioranza”.

Qual è la differenza tra la figura presidente del Consiglio e quella del primo ministro?

“L’uno è una sorta di ‘primus inter pares’, l’altro ha una primazia sugli altri. Il presidente del Consiglio suggerisce l’idea di un principio collegiale, dove le decisioni si prendono insieme e il presidente coordina il lavoro dei suoi ministri. Da alcuni anni in Europa i premier fanno scelte importanti, quindi non svolgono più solo la funzione di coordinatori ma hanno un primato sui ministri”.

In base al testo della riforma, quali poteri spetterebbero al capo dell’esecutivo?

“Il vero rafforzamento deriva dal fatto che il presidente del Consiglio venga eletto direttamente trainandosi la maggioranza del consenso, ma non gli si cambia nome né sono inseriti i poteri degli altri premier – poter proporre la nomina e la revoca dei ministri, il voto di fiducia da parte di una sola Camera o ancora il meccanismo della sfiducia costruttiva come in Germania (il Parlamento può sfiduciare il cancelliere solo quando ne elegge un altro a maggioranza assoluta, ndr). Un’anomalia è rappresentata dalla questione dei due governi per una legislatura. Il presidente del Consiglio eletto direttamente è sostituibile, mentre l’eventuale secondo capo dell’esecutivo disporrebbe di una maggiore libertà perché in caso venisse sfiduciato si tornerebbe alle urne. Le strade percorribili allora potevano essere perfezionare l’esistente, inserire il meccanismo del ‘simul stabunt simul cadent’ (in caso di sfiducia al governo o di dimissioni del presidente del Consiglio si sciolgono le Camere e si torna al voto, ndr) o sperimentare una forma di sfiducia costruttiva secondo il modello tedesco”.

Come questo cambiamento può incidere sul sistema di pesi e contrappesi?

“Al di là dei poteri che formalmente non si spostano, un domani il presidente del Consiglio potrebbe avere una legittimazione dovuta a milioni di voti rispetto al capo dello Stato scelto dalla maggior parte degli eletti e dai delegati regionali, col rischio che si vengano a creare conflitti istituzionali. Una soluzione potrebbe essere quella di mettere sulla scheda elettorale l’indicazione del candidato premier e poi lasciare la scelta al Parlamento”.

Come si garantiscono stabilità e governabilità?

“Dando la possibilità di scelta agli elettori con una legge a dominante maggioritaria e il doppio turno, mentre qui il ballottaggio a due turni non è previsto, insieme alla trasposizione di quegli articoli della Costituzione tedesca che si riferiscono alla nomina e alla revoca dei ministri e alla sfiducia costruttiva”.