Apurimac: l’associazione che rivendica i “diritti di periferia”

Intervista di Interris.it a padre Pietro Bellini, presidente dell'Associazione Apurimac, ong nata per sostenere le missioni agostiniane nel mondo

“I ‘diritti di periferia’ che noi rivendichiamo è che ognuno possa avere nella propria vita le identiche sostanziali possibilità di vita, di studio, di sviluppo, di garanzie sociali ed economiche, che godono gli altri cittadini ed esseri umani. Nello stesso tempo vorremmo far emergere il positivo che c’è nella ‘periferia’“. A parlare a Interris.it è padre Pietro Bellini, presidente dell’Associazione Apurimac, ong nata nel 1992 per sostenere le missioni agostiniane italiane in Perù e aiutare le popolazioni andine e poi si è impegnata in progetti per lo sviluppo sociale anche in Africa.

Gli obiettivi di Apurimac

Apurimac interviene per tutelare e promuovere i diritti umani nelle periferie del mondo, facendo propri gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili indicati nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritta dai governi dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite. Apurimac fonda i suoi interventi su 3 di questi Obiettivi:

  • Obiettivo 3: assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età;
  • Obiettivo 4: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti;
  • Obiettivo 5: raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.

L’intervista

Padre Pietro Bellini, presidente dell’Associazione Apurimac, intervistato da Interris.it ha spiegato come è nata l’ong, quali sono i suoi obiettivi e i progetti in corso.

Come nasce Apurimac?

“L’Associazione è stata ‘concepita’ nel gennaio del 1990, nella chiesa di S. Agostino di Roma, in occasione del saluto che il gruppo giovanile della parrocchia dava ad uno di loro che partiva per il Perù come missionario laico presso la missione che gli Agostiniani d’Italia avevano aperto nel 1968 nella sperduta regione di Apurimac, precisamente nelle tre ‘Province Alte’, ad un’altitudine che va dal 3.000 ai 5200 metri sul livello del mare. Dopo due anni di attività del gruppo è emersa la necessità di organizzare meglio gli aiuti alla missione con l’istituzione legale dell’Associazione, avvenuta il 2 luglio 1992”.

L’associazione è di ispirazione cristiana: quali sono i valori su cui fonda le sue radici?

“Essendo, l’Associazione, di ispirazione cristiana e nata per sostenere il territorio di una missione, i valori su cui fonda le sue radici sono i seguenti: a). Il Concilio Vaticano II ha affermato che la missionarietà della Chiesa consiste in due attività interconnesse tra loro: l’evangelizzazione e la promozione umana. Apurimac si è offerta non solo di aiutare i missionari nelle loro urgenze di vita, ma di assumersi il compito specifico della promozione umana delle popolazioni della missione, per permettere ai missionari di dedicarsi specificamente alla evangelizzazione. b) Un secondo valore di Apurimac è dato dal fatto che, facendo parte di essa sia laici che sacerdoti e religiosi, si è inteso superare il distacco secolare all’interno della Chiesa tra laici e chierici, per una comune collaborazione. c) Essendo l’Apurimac una delle regioni più povere, isolate e abbandonate di tutto il Sudamerica, un valore costitutivo dell’Associazione è stato ed è l’attenzione agli ultimi, alle ‘periferie’ umane e geografiche”.

La vostra mission è quella di garantire e diffondere i diritti umani alle persone svantaggiate, vulnerabili e dimenticate che vivono nelle “periferie esistenziali”. Quali sono oggi le periferie esistenziali?

“Abbiamo messo giustamente alla base della nostra attività la difesa dei diritti umani – come vengono riconosciuti dal consesso delle Nazioni, l’ONU – per i più vulnerabili, per coloro che non hanno voce per rivendicarli. Abbiamo adottato il termine ‘periferie’, che dà immediatamente l’idea di cosa si tratti. ‘Periferie umane’, che esistono in tutti i paesi del mondo, anche quelli più sviluppati e ricchi (gli ‘scartati’ direbbe papa Francesco). E ‘Periferie geografiche’ che riguarda i paesi o le regioni più dipendenti, economicamente o politicamente. Alcuni esempi di nostri interventi, tramite progetti mirati: in Algeria con un progetto di formazione per ragazze musulmane; in Nigeria, dove abbiamo lavorato per un decennio con vari progetti per la costruzione della pace (“Peace building”) tra cristiani e musulmani; in Kenya, con un progetto di sostenibilità economica per 60 donne vedove con bambini a carico; in Italia, con progetti per bambini e famiglie immigrate a Tor Bella Monaca (Roma)”.

Quali sono i vostri progetti attivi in questo momento?

“Negli ultimi anni abbiamo lavorato particolarmente in Perù, con progetti di sostegno alla sanità locale per combattere il Covid, soprattutto negli altipiani abbandonati della regione di Apurimac. Contemporaneamente stiamo sviluppando l’impianto e l’utilizzo della Telemedicina in tutta la Regione dell’Apurimac e di altre due regioni limitrofe di Cusco e di Ayacucho. Ad ottobre partirà un grande progetto bi-nazionale Perù-Bolivia, sempre con il fine di impiantare la Telemedicina nelle zone frontaliere dei due Paesi”.

Nel vostro sito parlate di diritti di periferia: quali sono?

“Il termine ‘periferia’ (soprattutto in paragone al ‘centro’ [di una città, di un territorio, di tutto ciò ‘che funziona’, o sembra tale]) richiama immediatamente i concetti di: marginale, che conta poco, di incompiuto, sporco, di disordine, di illegalità…. I ‘diritti di periferia’ che noi rivendichiamo è che ognuno possa avere nella propria vita le identiche sostanziali possibilità di vita, di studio, di sviluppo, di garanzie sociali ed economiche, che godono gli altri cittadini ed esseri umani. Nello stesso tempo vorremmo far emergere il positivo che c’è nella ‘periferia’: più voglia di vivere, di fare, più solidarietà, più desiderio cambiare in meglio la situazione. Lo stimolo al cambiamento ce l’ha più chi vive in periferia di chi vive al centro”.

Parlando più in generale del mondo del volontariato, soprattutto durante la pandemia, abbiamo visto un fiorire di associazioni e ci siamo resi conto che sono state loro ad aiutare molte persone che non avevano nessuno. Pensa che i governi dei vari Paesi dovrebbero garantire più aiuti alle associazioni?

“La risposta è insita nella domanda. L’esperienza terribile del Covid ha fatto emergere la grande potenzialità della gente alla solidarietà. È stato detto che l’Italia è uno dei paesi al mondo che esprime con più convinzione la solidarietà, soprattutto nelle emergenze. Effettivamente sono pochi coloro che non desiderano e non cercano di impegnarsi in qualche forma di volontariato. Questo è una garanzia certa per il futuro del Paese. Per quanto riguarda l’Italia, la recente legge sul Terzo Settore, se per un verso ha tentato di mettere ordine in una selva inestricabile di associazioni, molte delle quali solo nominalmente non profit, dall’altro ha posto dei paletti giuridici così rigidi, che sta portando all’estinzione molte piccole e benemerite associazioni locali di cittadini, in favore di alcune che si potrebbero chiamare “multinazionali” del non profit. Il futuro dirà se sarà così o no”.

Vuole aggiungere una sua conclusione?

“Il volontariato e tutte le modalità operative e strutturali che lo esprimono, è l’emergere della parte migliore di un essere umano, di una cultura e di una civiltà. È la manifestazione del bene e del desiderio di solidarietà che c’è dentro ogni essere umano. È possibile solo dove c’è libertà”.