Udienza, Papa: “Un cristiano triste è un povero cristiano, l’annuncio è gioia”

Nell'udienza generale il Papa, continuando il ciclo di catechesi "La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente", ha incentrato la sua meditazione sul tema "L’annuncio è gioia"

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“O annunciamo Gesù con gioia o non lo annunciamo”: è l’indicazione che Papa Francesco ha dato nella catechesi pronunciata nell’udienza generale di questa mattina che si è svolta alle ore 9.00 in Piazza San Pietro. Nel discorso in lingua italiana il Pontefice, continuando il ciclo di catechesi “La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente”, ha incentrato la sua meditazione sul tema “L’annuncio è gioia” (Lettura: Lc 2,8-11). Riportiamo la catechesi integrale.

La catechesi del Papa all’udienza generale

Cari fratelli e sorelle, dopo aver incontrato diversi testimoni dell’annuncio del Vangelo, mi propongo di sintetizzare questo ciclo di catechesi sullo zelo apostolico in quattro punti, ispirati all’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che in questo mese compie dieci anni. Il primo punto, che vediamo oggi, non può che riguardare l’atteggiamento da cui dipende la sostanza del gesto evangelizzatore: la gioia. Il messaggio cristiano, come abbiamo ascoltato dalle parole che l’angelo rivolge ai pastori, è l’annuncio di «una grande gioia» (Lc 2,10). E qual è la ragione di questa grande gioia? Una buona notizia, una sorpresa, un bell’avvenimento? Molto di più, una Persona: Gesù! È Lui il Dio fatto uomo che ci ama sempre, che ha dato la vita per noi e che desidera donarci la vita eterna! È Lui il nostro Vangelo, la fonte di una gioia che non passa! La questione, cari fratelli e sorelle, non è dunque se annunciarlo, ma come annunciarlo, e questo “come” è la gioia.

Ecco perché un cristiano scontento, triste, insoddisfatto o, peggio ancora, risentito e rancoroso non è credibile. È essenziale vigilare sui nostri sentimenti. Soprattutto in quei contesti dove la Chiesa non gode più di certi riconoscimenti sociali, c’è infatti il rischio di assumere atteggiamenti di sconforto o di rivalsa, e questo non va bene. Nell’evangelizzazione opera la gratuità che viene da una pienezza, non la pressione che viene da una mancanza. Il testimone credibile e autorevole si riconosce dall’animo lieto e mite, dal tratto sereno e gentile che deriva dall’aver incontrato Gesù, dalla passione sincera con cui offre a tutti quello che senza meriti ha ricevuto.Se la nascita di Gesù, nella storia come nella vita, è il principio della gioia, il compimento della gioia è la sua Pasqua.

Lo vediamo nello stupendo racconto di Emmaus (cfr Lc. 24,13-35), che fa tanto bene leggere: si trova al capitolo 24 del Vangelo di Luca, il Vangelo della gioia. La storia di quei due discepoli mostra come, accompagnati da Gesù, si può sempre passare dallo sconforto alla gioia pasquale. Specialmente in questo tempo gravido di preoccupazioni, dove in vari luoghi si registra anche una crisi della fede, potremmo essere avvolti dagli stessi umori cupi, dal senso di sconfitta di quei due, che si allontanano da Gerusalemme tristi e scoraggiati, prigionieri delle loro attese deluse. Anche per noi a volte potrebbe essere così. Emmaus ci rivela invece che proprio lì, dove tutto sembra finito, con Gesù risorto rinasce la gioia.

E ci dice che i primi a dover essere evangelizzati sono i discepoli, per riscoprire Gesù come Persona viva e non come un argomento già noto. I due discepoli, guidati dal Signore che cammina con loro spiegando le Scritture, fanno i conti con la loro fede immatura, con un modo di credere terreno, legato ad aspettative di successo mondano. Ma poi, rianimati dall’incontro con Gesù, cioè dalla sua Parola che fa ardere il cuore e dalla sua presenza d’amore nel Pane spezzato, risorgono dentro e diventano zelanti annunciatori: «Partirono senza indugio – dice il testo – e fecero ritorno a Gerusalemme» (Lc 24,33). È così: la gioia cristiana non viene da noi, è dono dello Spirito del Risorto.

Dunque, i primi a dover essere evangelizzati siamo noi cristiani. Immersi nel clima veloce e confuso di oggi, pure noi, infatti, potremmo trovarci a vivere la fede con un sottile senso di rinuncia, persuasi che per il Vangelo non ci sia più ascolto e che non valga più la pena impegnarsi per annunciarlo. Potremmo addirittura esser tentati dall’idea di lasciare che “gli altri” vadano per la loro strada. Invece proprio questo è il momento di ritornare al Vangelo per scoprire che Cristo «è sempre giovane e fonte costante di novità» (Evangelii gaudium, 11). Quando il cuore è stanco e l’orizzonte è buio, è l’ora dell’incontro con Gesù, con la sua sfolgorante bellezza, così luminosa ed entusiasmante; e allora, come per istinto, desideriamo comunicarlo a chi abbiamo intorno, perché «ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per sé stessa la sua espansione» (ibid., 9). Così, come i due di Emmaus, si torna nella vita quotidiana con lo slancio di chi ha trovato un tesoro. E si scopre che l’umanità abbonda di fratelli e sorelle che aspettano una parola di speranza.

Sì, il Vangelo è atteso anche oggi: l’uomo di ogni tempo ne ha bisogno, anche la civiltà dell’incredulità programmata e della secolarità istituzionalizzata; anzi, soprattutto la società che lascia deserti gli spazi del senso religioso. Questo è il momento favorevole all’annuncio di Gesù. Perciò vorrei dire nuovamente a tutti: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. […] Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo» (ibid.,1.3). Lui è l’inizio dell’evangelizzazione, la fonte della gioia!