MONS. MASSAFRA: “STORIE DOLOROSE NEI RAPPORTI TRA VESCOVI E CARISMI”

Tante sono le “storie dolorose” che caratterizzano il rapporto tra i vescovi e i carismi sorti nella Chiesa. Ma “puntare il dito” non risolve i problemi. Occorre piuttosto pensare all’Anno della vita consacrata “come all’occasione propizia per voi di trovarvi un ulteriore motivo di rinnovamento e per la Chiesa tutta di lasciarsi condire dalla vostra presenza umile, ma incisiva”. Lo ha detto monsignor Angelo Massafra, presidente della Conferenza episcopale albanese e vicepresidente del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee), ai partecipanti all’assemblea generale dell’Ucesm – l’Unione delle Conferenze europee dei e delle superiori/e maggiori (www.ucesm.net) – riuniti per il loro incontro annuale a Tirana da lunedì 23 fino a sabato 28 marzo.

Nell’Anno della vita consacrata, il vescovo francescano ha incentrato il suo intervento sulla corretta interpretazione dei rapporti tra vescovi e consacrati, e in particolare sul carisma dell’unità che il vescovo opera nel rapporto con le varie realtà ecclesiali. “Il vescovo – ha detto mons. Massafra -, ha esattamente il dovere principale di discernere, riconoscere, accettare e favorire lo sviluppo dei carismi che lo Spirito Santo suscita in mezzo al suo popolo, tanto nei singoli, quanto negli Istituti di vita consacrata, quanto nei movimenti o associazioni”.

“Purtroppo – ha subito aggiunto Massafra -, questo non sempre si verifica, e di storie dolorose che ce lo raccontano, ve ne sono tante!”. Per spiegarsi il vescovo ha fatto l’esempio dei fallimenti in cui possono incorrere i genitori nel loro rapporto con i figli, “quando questi ultimi sono costretti a diventare ciò che i genitori desiderano fare di loro; quando, piuttosto che favorire e incanalare le risorse proprie di ciascuno, i genitori obbligano i figli a comportamenti e scelte che, invece, distruggono il dono che Dio ha fatto loro”.

Lo stesso può accadere al vescovo nei confronti della vita consacrata ma “serve a poco o a nulla andare alla ricerca di un capro espiatorio: faremmo il gioco perverso, già tanto praticato dai media e, a quanto pare, anche all’interno della Chiesa ormai, quello cioè di puntare il dito e condannare, pensando così di aver risolto i problemi”. “In questo modo non si fa altro che distogliere l’opinione pubblica e, nella Chiesa, l’attenzione dei fedeli dai valori genuinamente evangelici del dialogo, dell’attenzione al fratello, a chi ha sbagliato, a chi è stato ferito, in uno spirito di comunione che invita al perdono (unica realtà capace di sanare le ferite) e che se fatichiamo tanto a mettere in pratica è solo perché, forse, stiamo dimenticando la verità evangelica di un Dio che è comunione”.