Israele, il dolore del Papa: “Per favore, si fermino le armi”

Il Santo Padre prega per la fine delle ostilità tra Israele e Hamas, ricordando che "il terrorismo e la violenza non portano a nessuna soluzione"

Papa Francesco
Foto © VaticanMedia

È un appello ma, al contempo, anche un grido di dolore quello che Papa Francesco ha lanciato al termine dell’Angelus. Un richiamo alle coscienze dei popoli, oltre che dei leader, affinché il linguaggio delle armi taccia per lasciar posto a un dialogo. I fatti delle ultime ore che hanno visto coinvolto il territorio di Israele e della Striscia di Gaza sono stati seguiti “con apprensione e dolore” dal Santo Padre, che lancia un nuovo monito all’umanità, oggi come ieri sconvolta dall’onda delle guerre.

“Gli attacchi e le armi si fermino, per favore, e si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano a nessuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti. La guerra è una sconfitta: ogni guerra è una sconfitta”. Francesco ha rinnovato la sua preghiera e vicinanza “alle famiglie delle vittime” e a “tutti coloro che stanno vivendo ore di terrore e di angoscia”.

L’Angelus del Papa

Anche il Vangelo odierno ci mette di fronte a un dramma, narrato da Matteo nella parabola della vigna. Un terreno ben curato, affidato dal padrone ai contadini che, al momento della vendemmia, uccidono coloro inviati a ritirare il raccolto. “Il padrone fa tutto bene, con amore: fatica in prima persona, pianta la vigna, la circonda con una siepe per proteggerla, scava una buca per il torchio e costruisce una torre di guardia. Poi affida la vigna a degli agricoltori, dando loro in affitto il suo bene prezioso e trattandoli perciò in modo equo, perché la vigna sia ben coltivata e porti frutto. Date le premesse, la vendemmia dovrebbe concludersi felicemente”. Pensieri “ingrati e avidi” si insinuano nella mente dei contadini: “Alla radice dei conflitti c’è sempre qualche ingratitudine e i pensieri avidi, possedere presto le cose”.

L’illusione di farsi da sé

Ciò che manca all’uomo preda dell’avidità è la riconoscenza: “L’ingratitudine alimenta l’avidità e cresce in loro un progressivo senso di ribellione, che li porta a vedere la realtà in modo distorto, a sentirsi in credito anziché in debito con il padrone che aveva dato loro da lavorare”. Per questo da agricoltori diventano assassini, uccidendo persino il figlio del padrone, colui che sarebbe erede dei possedimenti. “È tutto un processo – ha spiegato il Papa -. E questo processo tante volte succede nel cuore della gente, persino nel nostro cuore”. Attraverso le immagini della parabola, Gesù “ci ricorda cosa succede quando l’uomo si illude di farsi da sé e dimentica la gratitudine, dimentica la realtà fondamentale della vita: che il bene viene dalla grazia di Dio, che il bene viene dal suo dono gratuito”.

Il seme nocivo

Quando ci si dimentica della gratuità di Dio, “si finisce col vivere la propria condizione e il proprio limite non più con la gioia di sentirsi amati e salvati, ma con la triste illusione di non aver bisogno né di amore, né di salvezza”. E in questi frangenti “si smette di lasciarsi voler bene e ci si ritrova prigionieri della propria avidità, prigionieri del bisogno di avere qualcosa in più degli altri, del voler emergere sugli altri”. Qualcosa che riguarda ognuno di noi, perché in tutte le nostre vite possono manifestarsi insoddisfazioni e recriminazioni. Dalle quali possono essere generate incomprensioni e invidie: “L’ingratitudine genera violenza, ci toglie la pace e ci fa sentire e parlare urlando, senza pace, mentre un semplice ‘grazie’ può riportare la pace”.