Il Vescovo siriano all'Europa: “Aiutateci a non emigrare”

Sono passati sette anni dall'inizio della pagina più buia della storia della Siria. La diffusione della cosiddetta “Primavera araba” dal Nordafrica ha dato il via ad una stagione di sangue costata la vita ad oltre 400 mila persone. Lo scoppio della crisi ha comportato un vero e proprio esodo: Sono 11 milioni gli sfollati che dall'oggi al domani si sono ritrovati senza un tetto, in cerca di una sistemazione provvisoria. Un dramma che abbiamo imparato a conoscere con l'arrivo di un milione di rifugiati che hanno chiesto asilo in Europa. Il peso maggiore di quest'emergenza, però, è ancora oggi sulle spalle del Libano. Dal 2011 ad oggi, infatti, il Paese dei Cedri ha aperto le porte ad un milione e mezzo di profughi siriani. Dopo che il governo di Assad ha ripreso il controllo della maggior parte del territorio nazionale sono iniziati i rimpatri concordati di centinaia di rifugiati. La prospettiva di una ritrovata stabilità interna dopo una carneficina lunga sette anni sta ridando speranza a queste persone, determinate come non mai a ricostruire la patria distrutta. Molto spesso la cronaca delle vicende siriane è arrivata al pubblico italiano in versioni frammentate e a tratti superficiali, filtrata da organi che peccavano non di rado di parzialità. Per ascoltare una testimonianza diretta di quanto è avvenuto e continua ad avvenire in quei luoghi, In Terris ha voluto intervistare monsignor Youhanna Jihad Battah, vicario generale di Beirut della Chiesa siro-cattolica che si trova in questi giorni in Italia per una conferenza. Chi meglio di un Vescovo nato a Damasco e che svolge la sua attività pastorale in Libano può fornire una fotografia obiettiva e realistica della situazione siriana?

Eccellenza, quanto è cambiato il suo Paese dal 2011 ad oggi?
“Prima della crisi, la Siria era uno dei luoghi più sicuri del mondo, l'istruzione e la sanità erano gratuite e la maggior parte della popolazione viveva dignitosamente. Dopo la cosiddetta “Primavera araba” siamo diventati poveri. Vorrei fare una precisazione: si parla spesso di guerra 'in' Siria ma sarebbe più corretto definirla guerra 'contro' la Siria. Nel nostro caso specifico, la comunità cristiana non si è mai sentita in pericolo sotto Assad. La paura l'ha portata l'Isis che non accetta il diverso. Quello di questi terroristi non è Islam e lo dimostra il fatto che non si fanno problemi ad uccidere anche i mussulmani quando questi non la pensano come loro. I siriani non hanno accettato il loro Stato islamico. Quello che abbiamo vissuto non è stato affatto uno scontro tra religioni: in Medio Oriente vige il principio che la religione appartiene a Dio, ma la patria a tutti. Infatti, noi cristiani abbiamo convissuto per tanti anni in pace con gli islamici,rispettandoci reciprocamente e parlando anche di questioni spirituali. Vogliamo che questa convivenza pacifica continui perchè lo Stato in Siria non è né cristiano, né mussulmano. Siamo entrambi suoi cittadini e non ha alcun senso combatterci a vicenda”.

I suoi connazionali sfollati che accoglie ed assiste in Libano cosa ne pensano di Assad?
“I rifugiati siriani in Libano non sono affatto contro il presidente e lo hanno dimostrato partecipando alle elezioni e votandolo. Noi Vescovi siamo stati in Siria ed abbiamo parlato con Assad che ci ha detto di aver bisogno di queste persone per ricostruire il Paese. Il problema è che esistono individui che hanno grandi interessi nel sistema d'accoglienza libanese. Non a caso, i cristiani vengono trattati male perché trovano rifugio nelle chiese e non nei campi gestiti da questi affaristi. Comunque, la maggioranza dei giovani connazionali hanno dovuto espatriare non per colpa del governo. La guerra all'interno dei nostri confini l'hanno portata i terroristi che sono quasi tutti stranieri; c'è qualche siriano tra questi, ma è stato pagato per combattere. Se il popolo siriano – come hanno raccontato i media americani – fosse stato davvero tutto contro il presidente, Assad non sarebbe rimasto al potere neppure un mese. Il suo governo ha stabilito un buon rapporto con i cristiani: abbiamo sempre avuto la nostra libertà. Il nostro non è uno Stato islamico e in termini di libertà religiosa siamo secondi soltanto al Libano in Medio Oriente. Se voi occidentali volete sapere come vanno davvero le cose laggiù da noi, dovete parlare direttamente con il popolo siriano e visitare il nostro Paese. Troppo spesso i vostri media parlano della situazione senza conoscerla bene. Purtroppo, la verità è la prima vittima del conflitto siriano”.

Qual è l'opinione più diffusa tra i siriani del ruolo cruciale svolto dalla Russia in questi anni di crisi?
“I russi hanno fatto davvero tanto per noi. Per questo motivo noi vogliamo bene a loro e li consideriamo un grande popolo, ricco di cultura. Sono convinto che la Russia sia intervenuta in Siria perseguendo l'obiettivo della pace e lo ha dimostrato, ad esempio, a Sochi e a Ginevra dove i suoi rappresentanti si sono spesi a favore dell'apertura di un dialogo vero. Inoltre, il Patriarcato di Mosca, forte anche di un bel rapporto con la Chiesa ortodossa di Antiochia, ha aiutato concretamente le nostre comunità cristiane, non dimenticando i suoi fratelli in difficoltà”.

La guerra ha comportato un vero e proprio esodo dal suo Paese d'origine. Gli Stati europei sono, dopo il Libano, il principale approdo dei rifugiati siriani. Come dovrebbe comportarsi l'Europa di fronte a questi flussi?
“Quello dell'immigrazione è il problema che mi angoscia di più. Il nostro popolo ha già sofferto tanto, perchè dobbiamo anche lasciare la terra in cui siamo nati? Se l'Europa vuole aiutare davvero i siriani, lo faccia convincendoli a rimanere a casa loro. Questo si che sarebbe un atto umano e cristiano. Inoltre, se l'Europa aiutasse la nostra gente direttamente sul territorio siriano ne gioverebbe essa stessa, risparmiando le tante spese necessarie per i corsi di lingua, l'alloggio e il cibo. Per noi è molto più importante che gli Stati europei riaprino i canali diplomatici e si impegnino nel dialogo, terreno in cui sono stati piuttosto assenti finora”. 

Non teme che i rifugiati cristiani possano subire una crisi d'identità, entrando a contatto con una società così secolarizzata come quella europea?
“Molti fondamentalisti islamici venuti a combattere in Siria sono partiti proprio dall'Europa cristiana che, al contrario, continua a conoscere una inesorabile crisi di vocazioni sacerdotali. Questo perchè? Perchè avete messo da parte Dio. Al contrario, la nostra piccola comunità sta crescendo vistosamente nel 'vecchio continente' ed oggi può contare su oltre 4000 famiglie di fedeli. Prima del 2011 la Chiesa siro-cattolica aveva due preti in Europa, oggi ne abbiamo 25. Anche per questo vogliamo mantenere un bel rapporto con gli Stati europei, Italia in primis. Ma devono essere più incisivi nel dialogo e aiutarci a convincere i nostri giovani a non partire e a rimanere nella terra natia. Questo va nell'interesse di tutti perchè il Medio Oriente senza i cristiani diventa pericoloso: noi amministriamo con successo scuole e università frequentate da studenti di ogni credo. L'esempio migliore è quello del Libano che San Giovanni Paolo II definì una 'missione' perchè la sua realtà dimostra come sia possibile una convivenza pacifica tra cristiani e mussulmani, sciiti o sunniti che siano”.