Le Palme, il Papa: “Ci sono cristi invisibili scartati in guanti bianchi”

Papa Francesco celebra la Messa per la Domenica delle Palme e lancia un appello: "Non permettiamo che la voce di Cristo si perda nell'indifferenza"

Domenica delle Palme Papa Francesco
Foto © VaticanMedia

È in Piazza San Pietro Papa Francesco, come aveva promesso all’uscita dal Policlinico Gemelli, dove ha trascorso tre giorni di ricovero. Ha presieduto il rito della benedizione dei rami d’ulivo e raggiunto il sagrato a piedi, per celebrare la Domenica delle Palme. Non solo il rito che apre la Settimana Santa ma un’occasione per riflettere su quanto bisogno i sia di occhi e cuori aperti verso gli invisibili di oggi. La Liturgia odierna ci consegna l’unica invocazione di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”. Parole che, ricorda il Santo Padre, “ci portano al cuore della passione di Cristo, al culmine delle sofferenze che ha patito per salvarci”. Quelle del fisico ma anche quelle dell’anima, dal tradimento di Giuda al rinnegamento di Pietro, ino “alle condanne religiose e civili, lo scherno delle guardie, gli insulti sotto la croce, il rifiuto di tanti, il fallimento di tutto, l’abbandono dei discepoli”. Un dolore nel quale a Gesù restava però una certezza: “La vicinanza del Padre”.

Il culmine della sofferenza

La sofferenza più lacerante, spiega il Papa, “è quella dello spirito”. Mai, prima di allora, Gesù aea utilizzato “il nome generico di Dio” per riolgersi al Padre. E lo a utilizzando un ebro come “abbandonare”, che nella Bibbia “compare in momenti di dolore estremo: in amori falliti, respinti e traditi; in figli rifiutati e abortiti; in situazioni di ripudio, vedovanza e orfananza; in matrimoni esausti, in esclusioni che privano dei legami sociali, nell’oppressione dell’ingiustizia e nella solitudine della malattia: insomma, nelle più
drastiche lacerazioni dei legami”. Eppure è questo che Cristo ha portato sulla croce, “caricandosi il peccato del mondo. E al culmine Egli, il Figlio unigenito e prediletto, ha provato la situazione a Lui più estranea: la lontananza di Dio”. Ma Cristo “si è fatto
solidale con noi fino al punto estremo, per essere con noi fino in fondo. Perché nessuno di noi si possa pensare solo e irrecuperabile”.

L’amore che trasforma i cuori

L’abbandono è un abisso nel quale Gesù non ci ha lasciato, risparmiandocene la desolazione. “Il Signore ci salva così, dal di dentro dei nostri ‘perché’. Da lì dischiude la speranza. Sulla croce, infatti, mentre prova l’estremo abbandono, non si lascia andare alla disperazione, ma prega e si affida”. Ma nell’abbandono, Cristo “continua ad amare i suoi che l’avevano lasciato solo e perdona i suoi crocifissori. Ecco che l’abisso del nostro male viene immerso in un amore più grande, così che ogni nostra separazione si trasforma in comunione, ogni distanza in vicinanza, ogni tenebra in luce. Il culmine della nostra miseria è abbracciato dalla misericordia. Ecco chi è Dio e quanto ci ama”. Un amore così, spiega Papa Francesco, “può trasformare i nostri cuori di pietra in cuori di carne, capaci di pietà, di tenerezza, di compassione”.

L’appello del Papa

Gesù ci chiede di cercarlo e amarlo in coloro che sono abbandonati “perché in loro non ci sono solo dei bisognosi, ma c’è Lui, Gesù abbandonato, Colui che ci ha salvati scendendo fino al fondo della nostra condizione umana“. Al giorno d’oggi sono tanti i “cristi abbandonati… popoli interi sfruttati e lasciati a sé stessi; ci sono poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo; migranti che non sono più volti ma numeri; detenuti rifiutati, persone catalogate come problemi. Ma ci sono anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore”. Gesù ci chiede di avere per loro occhi e cuore, perché “nessuno può essere emarginato, nessuno può essere lasciato a sé stesso… Non permettiamo che la sua voce si perda nel silenzio assordante dell’indifferenza”.