Migrante morta in un centro detenzione: il video girato in Libia

La clip di 30 secondi si conclude con una persona che indica un corpo e dice: "Questa donna è morta, é morta stamattina"

Libia. Foto di Ahmed Almakhzanji su Unsplash

Una migrante che giace morta sul pavimento all’interno del centro di detenzione Abu Salim a Tripoli, in Libia. E’ l’immagine del video shock girato da una donna nigeriana che definisce la struttura libica una “prigione”.

Libia: video-shock mostra migrante morta in centro detenzione

Una clip, presumibilmente girata due settimane fa e condivisa con il Guardian da un gruppo di migranti arrivato in Tunisia dalla Libia, mostra una stanza all’interno del centro di detenzione Abu Salim a Tripoli con una migrante che giace morta sul pavimento. Nella stanza, dove sono stipate centinaia di migranti richiedenti asilo, si sente una donna nigeriana gridare e definire la struttura una “prigione”. La clip di 30 secondi si conclude con l’immagine di una donna malnutrita che giace probabilmente morta a terra, nuda, con gli occhi aperti. “Questa donna è morta”, dice la donna nigeriana, “é morta stamattina”.

La testimonianza: “In Libia il migrante vale meno delle pecore”

“In Libia l’uomo di colore vale meno di una pecora. Il valore a cui siamo venduti è di circa 100 euro, mentre i libici vendono le loro pecore al mercato per 280 euro. Per loro siamo meno del bestiame”. E’ la testimonianza di Cousbi, giovane 22enne originario del Camerun, arrivato ieri a Napoli a bordo della Ocean Viking dopo un viaggio lungo, difficile, pieno di atrocità.

“In Libia tutti portano un’arma, anche le donne e i bambini di 7 o 8 anni – racconta – possono sputarti addosso, lanciarti sassi, non puoi nemmeno reagire. Altri ti sparano addosso, se non fuggi, muori. E’ un Paese dove tutti sono armati e noi siamo la loro fonte di reddito. È per i loro affari che portano le armi, è per intimidire i neri. Le nostre famiglie vendono case, campi, beni, per poter pagare il riscatto e questo li impoverisce ancora di più, dopo che noi eravamo partiti per aiutarli economicamente”. Migranti, fuggitivi che una volta arrivati in Libia vengono rinchiusi e malmenati. “Quando le guardie carcerarie si stancano di picchiarti – prosegue il giovane – allora prendono uno dei tuoi fratelli e lo costringono a picchiare gli altri sotto la minaccia di una pistola. Non si ha altra scelta e quindi si obbedisce”.

Fonte: Ansa