Aborto: le donne hanno il diritto alla verità

Pubblicizzare l'aborto come “un'operazione che non lascia postumi” e in cui “non c'è nemmeno il rischio di sterilità” è un messaggio ingannevole. È quanto ha stabilito il Tribunale Commerciale numero 3 di Gijàn, in Spagna, giudicando la campagna promozionale realizzata dell'Associazione delle Cliniche Accreditate per l'Interruzione della Gravidanza (ACAI) sul proprio sito web.

Il caso

I giudici hanno dato ragione all’Associazione spagnola degli Avvocati Cristiani, che ha intentato la causa e che chiede che i 28 centri in cui è presente l’ACAI non ricevano un solo euro di denaro pubblico. Il Tribunale di Oviedo ha condannato l'ACAI alle spese, nonché alla pubblicazione della sentenza sul suo sito web e alla modifica della sua pubblicità. “L'ACAI non si preoccupa delle donne, è disposta a mettere pubblicità ingannevole per fare soldi, vendendo l'aborto come se stesse bevendo un bicchiere d'acqua”, ha commentato alla stampa locale Polonia Castellanos, presidente degli avvocati cristiani.

Una decisione storica

I movimenti pro-life europei considerano la sentenza una decisione storica perché riconosce le drammatiche conseguenze che l’aborto procura, non solo causando la morte del nascituro, ma mettendo a repentaglio la salute psicofisica della donna. Anche sospendendo qualsiasi giudizio in merito alle legislazioni che consentono l’interruzione di gravida, e tanto più sulle donne che lo praticano, omettere le complicazioni e le possibili patologie legate ad un aborto volontario è un comportamento che lede il diritto della donna ad essere informata. Non c’è ideologia pro-choice e movimento in favore dell’aborto che possa negare la verità, ovvero che l'aborto ha delle conseguenze, tra cui la sterilità se ci sono complicazioni come la perforazione dell'utero; la sindrome post-aborto; l'aumento della probabilità di cancro al seno; di cadere in depressione e persino di commettere atti autolesionistici. Dunque non c’è scelta non possa dirsi veramente consapevole se fatta sulla base di pressioni interessate e di informazioni errate o parziali.

La triste storia di Juan Sebastián

D'altra parte la giurisprudenza si è limitata ad riconoscere quello che la medicina e la scienza hanno sempre rilevato. E per questo motivo fa ancora più discutere il caso, in Colombia, del piccolo Juan Sebastián Medina, il nascituro al settimo mese di gestazione la cui madre ha deciso di abortire. I vescovi colombiani hanno espresso “profonda tristezza e costernazione per la morte, provocata tramite aborto, di un bambino non ancora nato”, che per di più “gode di ottima salute”. La donna ha motivato infatti la sua decisione adducendo ragioni psicologiche, problemi economici e difficoltà affettive, poiché il suo legame con il padre del bambino – peraltro contrario all’aborto – si è interrotto. I vescovi di Bogotá hanno quindi esortato alla preghiera e si sono detti “perplessi” per il fatto che le istituzioni del Paese “non garantiscono i diritti del padre il quale, con insistenza e tenacia, lotta per la vita per figlio”. La Colombia è arrivata ad una simile brutalità dopo alcune sentenze della Corte Costituzionale che hanno completamente depenalizzato l'aborto rendendolo possibile durante tutta la gravidanza. Per arginare una deriva mortifera senza regole, il Ministero della Salute sta lavorando ad un regolamento attuativo di queste sentenze.

L'aborto in Italia

Intanto non si fermano le pressioni di Ong, movimenti, partiti e dei grandi media per modificare le legislazioni di quei pochi Paesi al mondo – come Perù, Malta, Polonia e Brasile – dove l’aborto è illegale o consentito solo se si presentano circostanze estreme come il pericolo di morte per la madre. L'Italia dal canto suo si è attestata sui circa 80mila aborti l’anno, praticati in un Paese in pieno declino demografico e che nel 2019, con appena 435mila nascite, ha segnato il record negativo di ricambio naturale. In pratica viene abortito poco meno che un ogni cinque nati, senza considerate le centinaia di migliaia di aborti farmacologici eseguiti con pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo.

Ma se l’aborto fosse davvero quella passeggiata che non lascia segni non si spiegherebbe perché, malgrado la diminuzione dei credenti, resti sempre costante negli anni il numero di ginecologi obiettori di coscienza: sette su dieci. Un scelta che non ha nulla di confessionale e che è dovuta alla conoscenza di quella verità che rende veramente liberi.