Una riforma inutile

Quali sono gli obiettivi della riforma della costituzione sottoposta al giudizio degli elettori? Le soluzioni proposte sono idonee a raggiungerli, o presentano delle criticità ed eventualmente quali e quanto rilevanti? Gli stessi possono essere efficacemente perseguiti con strumenti diversi dalla revisione della costituzione?

Ritengo che ciascuno debba porsi queste domande, per esprimere la propria valutazione, sfuggendo dai percorsi polemici e dall’annuncio, sempre ambiguo quale che ne sia il contenuto, di che cosa accadrà “il giorno dopo”, come conseguenza della scelta effettuata. La costituzione, oltre che garantire i diritti fondamentali dei cittadini, delinea le regole basilari di organizzazione delle istituzioni, che non dovrebbero essere condizionate dal mutevole contesto politico.

Gli obiettivi della riforma, e si direbbe di ogni intervento in questa materia, possono essere così sintetizzati: rendere più semplice e snello il procedimento legislativo; rendere più stabile il governo; rendere più corretto il rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo; potenziare gli strumenti di democrazia diretta; riequilibrare il rapporto tra Stato e Regioni.

I primi due obiettivi dovrebbero essere l’effetto della trasformazione del Senato, configurato quale rappresentante delle autonomie territoriali e non più titolare della funzione di indirizzo politico, riservata alla Camera, l’unica assemblea parlamentare che attribuirebbe e toglierebbe la fiducia al Governo. Tuttavia il procedimento legislativo resterebbe ancorato alla competenza dei due rami del Parlamento.

Rimarrebbe, come oggi, competenza paritaria per sedici materie; per le altre al Senato rimarrebbe il potere di proporre modifiche, con vari tempi e modalità, ai disegni di legge approvati dalla Camera. I prevedibili contrasti nella determinazione delle competenze dovrebbero essere decisi dai Presidenti delle due Assemblee. La complicazione delle procedure è evidente, a fronte della prevista maggiore speditezza di decisione nelle materie di competenza della Camera, che tuttavia potrebbe essere perseguita anche nell’attuale contesto costituzionale, mediante una riforma dei regolamenti parlamentari che fissasse tempi e procedure per la deliberazione della seconda Camera sui disegni di legge approvati dall’altra.

La stabilità del Governo, che è questione eminentemente politica, potrebbe risultare quale effetto delle leggi elettorali idonee ad aggregare la maggioranza, oppure da altri strumenti costituzionali quale la “sfiducia costruttiva” e la caduta di un governo solo quando si è formata una maggioranza alternativa. Il corretto rapporto tra esecutivo e legislativo riguarda anche l’eccesso di adozione di decreti legge da parte del Governo, la cui urgenza è spesso dettata dalla esigenza di ottenere una sollecita deliberazione del Parlamento, che per i decreti legge deve avvenire entro sessanta giorni. Per ricondurre ad un uso corretto dei decreti legge, la riforma prevede opportunamente che il Governo possa utilizzare uno strumento alternativo e chiedere alla Camera di pronunciarsi entro settanta giorni sui disegni di legge essenziali per l’attuazione del programma governativo, ma rinvia ad un regolamento parlamentare la disciplina delle modalità e dei limiti del procedimento. Peraltro nulla impedirebbe ai regolamenti parlamentari di regolare questa materia, anche senza revisione della Carta.

La riforma rafforza le iniziative legislative popolari, pur triplicando il numero di proponenti richiesti: prevede che sia garantita la deliberazione su di esse, ma rimette poi a regolamenti parlamentari tempi, forme e limiti. Ancora una volta i regolamenti parlamentari potrebbero disciplinare questi aspetti senza necessità di revisione della costituzione. Sono anche previsti referendum popolari propositivi e di indirizzo, la cui disciplina è tuttavia rimessa ad una legge costituzionale, che per introdurre questi nuovi istituti non avrebbe bisogno di un annuncio da parte della legge di riforma.

La modifica nelle competenze legislative dello Stato e delle Regioni costituisce una riforma della precedente riforma del 2001, orientata a riequilibrare in senso centralistico i rapporti con le Regioni, ed a consentire l’intervento legislativo statale anche in materie che la costituzione attribuisce alle Regioni, quando si ritenga da tutelare l’interesse nazionale.

Il referendum per sua natura implica una scelta di complessiva contrapposizione, che non consente di selezionare ciò che si ritiene utile distinguendo, nelle scelte da fare, da ciò che si ritiene dannoso; né consente mediazioni e convergenze. Questa carrellata sulla riforma, necessariamente sommaria ed incompleta, mostra come il voto popolare, quale che ne sia l’esito, apra un nuovo cantiere. Se il voto popolare confermerà la riforma, sarà necessaria una sua larga integrazione per le parti nelle quali la legge sottoposta al giudizio popolare indica solamente il titolo delle cose da fare, rinviando per l’attuazione a leggi costituzionali, leggi ordinarie, regolamenti parlamentari. Inoltre non è improbabile che si rendano opportuni, o addirittura necessari, interventi correttivi.

Se il voto popolare sarà contrario a questa legge di riforma, il cantiere riguarderà interventi in specifiche materie ampiamente condivise; alcune possono essere appropriatamente attuate con regolamenti parlamentari o con leggi ordinarie. Superando la ricorrente ambizione alla grande riforma, leggi costituzionali possono riguardare singoli istituti; se si ritiene rilevante, la riduzione dei parlamentari, sia della Camera che del Senato.
In entrambi i casi è opportuno che alla contrapposizione referendaria segua, per i temi istituzionali che riguardano tutti, il percorso di una possibile convergenza.

Sino al voto del 4 dicembre Interris.it, senza prendere una posizione, ospiterà i sostenitori del “Sì” e del “No” al referendum, per consentire ai lettori di farsi liberamente una propria opinione a riguardo