UN MONDO DI POVERI

Quando si parla di povertà molti pensano al cosiddetto “terzo mondo”, ripercorrendo con la mente le drammatiche immagini trasmesse talvolta dalle televisioni. Alcuni, forse, associano questa parola anche a realtà più vicine a noi: alle periferie degradate, a casi di estrema emarginazione delle nostre città. Tutti casi minoritari e circoscritti. O almeno così si pensa. Tale convinzione, però, negli ultimi tempi viene smentita dai fatti. L’Istat indica che nel 2015 più di un italiano su quattro – circa il 28,7% della popolazione – era a “rischio di povertà assoluta o di esclusione sociale”. Si tratta di una quota “sostanzialmente stabile” rispetto al 2014 quando si era attestata al 28,3%.

Tali risultati, però, non raggiungono gli obiettivi prefissati dalla Strategia Europea 2020 che prevede, entro quattro anni, una riduzione, da 17 milioni 469 mila a 12 milioni 882 mila, del numero di individui che potrebbero precipitare sotto la soglia di indigenza. La tendenza attuale è frutto del bilanciamento tra un leggero aumento di persone a rischio di povertà e un calo di quelle che vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa. Al sud il livello sale addirittura al 46,4%; un aumento di quasi un punto percentuale se confrontato col 2014.

Un fatto moderatamente positivo è che il reddito familiare, in termini reali, è sostanzialmente stabile. Si interrompe, così, una caduta in atto dal 2009 che ha comportato una riduzione complessiva di circa il 12% del potere d’acquisto delle famiglie. Ma purtroppo l’aspetto allarmante è la crescita del divario tra redditi alti e bassi: il reddito delle famiglie più benestanti è ben 5 volte superiore a quello delle famiglie meno abbienti. In tal senso, secondo una classifica dell’Unione Europea, l’Italia occupa uno sconfortante sedicesimo posto. Nel nostro Paese, inoltre, 6,4 milioni di persone ha un reddito da pensione inferiore a 1.050,95 euro al mese. Le famiglie composte da due componenti che si trovano a vivere sotto tale soglia vengono considerate povere. Il dato, sebbene sia leggermente in calo rispetto agli anni precedenti, resta vergognosamente alto per una Nazione civile.

Tra le fasce deboli della società ci sono anche i bambini. Save the Children, nel suo Atlante dell’infanzia a rischio, ha osservato che in Italia quasi un minore su tre è a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre i figli di 4 famiglie povere su 10 soffrono il freddo d’inverno per la mancanza di riscaldamento. Sono numerosi i bambini – soprattutto nel Mezzogiorno – che interrompono gli studi precocemente fermandosi alla licenza media inferiore oppure non raggiungono competenze minime in matematica e in lettura. Molti non sono mai stati a teatro né hanno mai visitato monumenti, musei e siti archeologici

Pochi giorni fa l’Unicef – il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia – ha lanciato un allarme per quanto concerne la situazione mondiale: circa 535 milioni di bambini – vale a dire quasi 1 su 4 – vivono in Paesi colpiti da conflitti o disastri naturali. Questo preclude loro l’accesso a cure mediche, istruzione di qualità, nutrizione e protezione adeguate. Dell’oltre mezzo miliardo di bimbi poveri, i tre quarti – pari a 393 milioni – vivono in Africa Sub Sahariana, mentre il 12% in Medio Oriente e Nord Africa.

A carattere globale l’indigenza si sta estendendo anche in Nazioni che finora non erano state interessate da questa emergenza. Sono 900 milioni le persone che vivono in povertà assoluta; nel 2016, secondo l’organizzazione Oxfam, la ricchezza detenuta dall’1% della popolazione mondiale ha superato quella del restante 99%. Il problema della povertà può essere affrontato solo eliminando le cause strutturali che provocano le ingiustizie, utilizzando al meglio tutte le risorse umane, naturali e socio-economiche. C’è bisogno, senza dubbio, di una classe dirigente che costruisca con saggezza le condizioni per il bene comune futuro anziché preoccuparsi solo dell’utile e del consenso popolare a breve termine.

La vice presidente della Camera Marina Sereni ha recentemente osservato che “da molti anni le ricerche sociali mettono in evidenza una crescente diseguaglianza; la crisi ha in realtà soltanto aggravato un trend che contraddistingue da sempre il nostro Paese dal resto d’Europa. La mancanza di un istituto universale di contrasto della povertà ha nel tempo prodotto una situazione cronica, una vasta area di disagio e insicurezza sociale che non possiamo più sopportare o ignorare”.

In Italia il 14 luglio di quest’anno i deputati hanno approvato il disegno di legge delega “recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali”. La norma, che tra i vari interventi si prefigge di istituire come strumento di contrasto alla povertà il Rei (reddito di inclusione), ora è all’esame della commissione Lavoro del Senato. Col nuovo governo attualmente non è possibile stabilire la sorte di questo provvedimento.

Ma non pensiamo che tutto possa risolversi solo attraverso la via politica, legislativa e culturale. È necessario, infatti, un drastico cambiamento che deve ispirare tutte le forze sane all’interno della collettività. La povertà può essere combattuta con la condivisione, assieme all’ascolto e all’accoglienza verso gli ultimi, avendo chiaro che il principio cardine è sempre la dignità dell’individuo.

“C’è sempre qualcuno – ha considerato Papa Francesco – che ha fame e sete e ha bisogno di me. Non posso delegare nessun altro. Questo povero ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno. Siamo tutti coinvolti in questo”. Le ricchezze non sono mai un fine, ma un mezzo e sempre un bene da condividere. Ricordarsene è un segno di carità verso il prossimo e anche di intelligenza… Perché quando ogni persona sta bene i benefici si estendono all’intera società.