L’IMMATURITA’ DELLA SCUOLA

Migliaia di studenti si cimenteranno a partire da oggi con l’esame di Maturità. La più temuta fra le prove di valutazione scolastica segna un passaggio epocale nella vita di una persona. Qualunque sia l’esito (salvo il caso di bocciatura) ogni cosa non sarà più come prima. Cambieranno abitudini, ritmi di vita e – per chi deciderà di iscriversi all’università – metodi di studio e rapporti umani con i docenti. Ci si confronterà per la prima volta col mondo dei grandi e, con il passare del tempo, l’entusiasmo per le nuove esperienza lascerà spazio a un pizzico di sana nostalgia. Ricordando la vita tra banchi, campanelle, cancellini e lavagne.

Ma la scuola che i maturandi si apprestano a lasciare è stata la migliore possibile? Ha fornito loro i mezzi necessari per affrontare la vita reale? E soprattutto: li ha formati come persone e cittadini? Lo abbiamo chiesto a Ferdinando Maria Ciani, insegnante, autore di “A scuola senza profitto” (Ed. Sempre) e coordinatore del “Gruppo di ricerca per la Scuola del Gratuito”. Del suo modello di scuola, che mette al centro gli ultimi e combatte voti e nozionismo, parlerà durante il terzo convegno del Gruppo che si svolgerà a Forlì dal 30 settembre al primo ottobre prossimi.

Ciani, la Maturità è stata più volte riformata. La formula attuale funziona secondo lei? 
“Sono solo dei lifting che vengono effettuati per far vedere che cambia qualcosa. In realtà l’esame di Stato è rimasto sempre quello: continua a essere nozionistico, fondato sui contenuti e basta”.

Quale sarebbe un modello vincente?
“Quello nel quale ai ragazzi viene chiesto di produrre un elaborato basato su quanto si è studiato, da discutere davanti a tutti gli insegnanti. E’ un metodo che utilizzo per gli esami di terza media. Ai miei studenti chiedo di presentare ricerche sperimentali su argomenti scientifici che abbiamo affrontato. Sarebbe un altro modo di vedere la scuola, più simile al modello universitario. Una scuola in cui tutto parte dai ragazzi. In quella attuale, invece, i giovani sono costretti a riferire su contenuti scritti o raccontati da altri. Einstein stesso diceva che imparare le formule a memoria non serve, perché sono scritte sui libri, bisognerebbe saperle interpretare”.

Dice di volere una scuola con metodi didattici più vicini a quelli universitari. Eppure spesso anche negli Atenei viene privilegiato il nozionismo… 
“Vero, è un problema di sistema. Dalle elementari all’università il principio è sempre lo stesso: imparare cose scritte da altri. Negli Atenei, come sappiamo, ci sono i cosiddetti ‘baroni’ che scrivono libri che poi i ragazzi devono comprare e imparare a memoria, senza potersi permettere di consultare altre fonti, perché viene chiesta sempre la versione proposta dal professore di turno”.

La scuola italiana, per come è strutturata, prepara al mondo del lavoro? 
“Poco… Le aziende non vogliono più persone che sappiano tante cose, ma dipendenti in grado di collaborare, cooperare e che siano motivati sul posto di lavoro. Sono cose note sia a livello imprenditoriale che pedagogico. Eppure la politica insiste nell’inseguire falsi miti come quello dei test standardizzati. Spot per dimostrare che la scuola italiana è al livello di quelle europee, quando invece i sistemi d’istruzione più avanzati li hanno aboliti”.

A quali modelli dovrebbe guardare l’Italia?
“Penso alla Finlandia e alla Svezia, che hanno eliminato i voti dopo un certo livello scolastico. In questi sistemi si lavora sulla persona e sulla sua competenza. Per non parlare, poi, di tutto il settore delle scuole libertarie, nelle quali gli alunni lavorano a partire dalla loro motivazione e partecipazione insieme agli insegnanti alla gestione condivisa della scuola. Ciò sviluppa la creatività. Non dimentichiamo che educare significa ‘tirar fuori’ e non ‘metter dentro’. E’ questo il modello che inseguiamo con la ‘Scuola del gratuito'”.

La scuola italiana è inclusiva?
“Dal punto di vista dell’inclusione l’Italia ha una legislazione all’avanguardia. Abbiamo il coraggio di inserire nelle aule ragazzi che in altri Paesi, compresi quelli con modelli più avanzati, vengono relegati in classi speciali, diversificate. Però, nei fatti, è la testa di chi vive la scuola, cioè gli insegnanti, che non permette a tutti gli studenti di essere inclusi anche a livello relazione. Perché essere incluso in una classe non significa starci topograficamente ma diventarne il centro. Invece i docenti che fanno? Per andare avanti coi loro programmi nozionistici preferiscono delegare all’insegnante di sostegno i casi problematici. Il risultato di questo atteggiamento è l’esclusione, a livello didattico e sociale, di chi ha maggiori difficoltà”.

Qual è l’approccio nei confronti della disabilità?
“Dipende dalle scuole. Ci sono istituti, come quello in cui insegno, nei quali c’è una sinergia perfetta fra insegnanti di sostegno e curriculari. Purtroppo sono casi sporadici. Molte famiglie devono ancora fare ricorso al Tar per avere un insegnante di sostegno per le ore necessarie. E’ una contraddizione che dipende direttamente dal ministero, fatta solo per questioni economiche e di bilancio. Una cosa vergognosa”.

Il Papa ieri ha visitato Barbiana, paese dove operava don Lorenzo Milani. Che contributo può ancora dare questa figura alla scuola italiana? 
“La scuola di don Milani è irriproducibile nella pubblica istruzione. Era attiva 365 giorni l’anno, cosa impossibile da replicare. Può essere però riproposta nello stile. I suoi allievi avevano un motivazione forte, vedevano nell’istruzione un mezzo per cambiare la loro vita. La scuola purtroppo non riesce a creare entusiasmo, i ragazzi non hanno il gusto di andarci, sono costretti”.

Un’altra figura significativa per lei è stato don Oreste Benzi… 
“E’ un padre. Era un educatore, ha vissuto la scuola, ha insegnato. Con lui è nata la ‘Scuola del gratuito’, un modello di istruzione che mette al centro gli ultimi”.

La Chiesa può ancora giocare un ruolo nel processo educativo?
“Potrebbe ma, a parte qualche intervento illuminante del Papa sul tema, non lo sta giocando. Purtroppo il modo in cui la Chiesa concepisce la scuola è molto antiquato. Penso a come spesso vengono trattati gli insegnanti di religione, in maniera piramidale, non in modo collettivo o cooperativa. Non ci sono fatti passi avanti nel mondo ecclesiale da questo punto di vista. La maggior parte delle proposte didattiche più innovative vengono dal mondo laico”.