“IO, VITTIMA DEL GENDER”

A guardarlo, Joe Holliday è un ragazzo come tanti. Eppure, dietro un sorriso smagliante nasconde un passato a dir poco inquieto. Non ha avuto un’infanzia e un’adolescenza comuni, Joe. Il suo benessere psico-fisico si è dovuto scontrare con la pretesa medica di destrutturare l’identità sessuale.

L’inizio della storia

Negli anni Novanta la bandiera dell’ideologia gender – tema di cui l’opinione pubblica oggi non è più digiuna – era stata piantata da una ristretta élite di intellettuali progressisti sul capo di questo bambino inglese, “reo” soltanto di essere nato con una anomalia agli organi genitali.

Per l’esattezza il piccolo, venuto alla luce il 24 gennaio 1988, era affetto da estrofia della cloaca, ossia una malformazione della chiusura della parete addominale anteriore che non consente la corretta separazione tra intestino e vescica.

Come ha raccontato nel 2015 lo stesso Joe al Daily Mail, il suo parto fu un momento scioccante, per i suoi genitori e finanche per il personale medico. La mamma – racconta il giovane – ha ancora impresso negli occhi lo sguardo di orrore delle ostetriche quando alzarono il piccolo appena uscito dalla pancia.

Maschio o femmina?

“Cos’è? – chiese la donna – un maschio o una femmina?”. “Tutto a tempo debito”, fu la lapidaria risposta che le venne data, un attimo prima di avvolgere il neonato in un panno bianco per nascondere la malformazione.

“Mia madre, prona sul letto – racconta Joe – non poteva aver visto ciò che gli altri avevano visto già, che il mio addome, il mio bacino e tutta la mia parte centrale erano malformati, e dunque nessuno conosceva la risposta alla sua domanda”.

La rara malformazione rendeva non facile accertare l’apparato genitale, anche se i medici convennero fin da subito che si trattava di un maschio. La situazione veniva considerata comunque complessa. “Avrà pulsioni sessuali – disse un medico qualche ora dopo ai genitori – ma non sarà in grado di rispondere ad esse” e ciò “potrebbe suscitargli un insopportabile impatto psicologico”.

Il Great Ormond Street Hospital e la trasformazione sessuale

Dopo diverse analisi, a un mese dal suo primo compleanno, i genitori di Joe chiesero appuntamento a un importante urologo pediatrico “per discutere delle operazioni chirurgiche che mi avrebbero potuto aiutare”, racconta il ragazzo. Il medico in questione lavorava al Great Ormond Street Hospital, la struttura balzata oggi agli onori delle cronache per la vicenda legata al piccolo Charlie Gard.

La mamma e il papà del bambino, allora diciannovenni, “gente semplice del villaggio di Pinchbeck”, si affidarono a questo luminare convinti che le sue indicazioni sarebbero state salvifiche. Ma da quella visita “la mia intera esistenza fu rivoltata”, riflette oggi Joe. Guardata con cura la malformazione, l’urologo disse ai genitori che lo stavano crescendo in modo sbagliato, e che lo avrebbero dovuto iniziare ad educare come fosse una femmina.

“Se Joe fosse nato in una mia struttura – aggiunse il chirurgo – non gli avrei mai assegnato il sesso maschile. Avremmo trattato il bambino come una femmina fin dall’inizio”. Parole che lasciarono interdetti i genitori del piccolo. La mamma, dopo qualche attimo di rumoroso silenzio, esplose in un impeto di ribellione a questa proposta ritenuta inspiegabile.

Malgrado fosse difficile comprenderne razionalmente il giudizio, i genitori decisero tuttavia di affidarsi al medico. L’esordio del nuovo ed eccentrico modo di trattare loro figlio avvenne nel giorno del primo compleanno del bambino. In quell’occasione Joe divenne Joella, sostituendo gli abitini azzurri con quelli rosa e le bambole con le macchinine.

Icona mediatica

“I miei genitori – osserva oggi Joe – non sapevano che ero sul punto di diventare uno dei bambini più noti del Regno Unito, celebrato dalla stampa e corteggiato da personaggi famosi”. Il piccolo Joe, anzi Joella, era diventato un’icona mediatica, l’esperimento sociale per affermare la fluidità dei sessi. Per certi epigoni della cultura progressista, “Joella” più che un bimbo in carne ed ossa, con sentimenti e paure, era diventato il vessillo da ostentare per sentirsi più all’avanguardia, più cool.

La battaglia di sua madre per ottenere il cambio del sesso sui documenti fu abbracciata persino dalla principessa Diana, che le inviò una lettera di sostegno. Il suo volto all’apparenza di bambina uscì spesso nelle trasmissioni tv d’oltremanica. La risonanza pubblica non riuscì tuttavia a sanare un malessere che montava, nell’animo di Joe come nelle relazioni dei suoi genitori, che ben presto si separarono.

La mamma pochi anni dopo sposò un altro uomo. Questo il ricordo del ragazzo: “Al matrimonio portavo un abito lungo con fiocchi e fronzoli. Sapevo che non ero io, ma sopportavo tutto”. Joe doveva far fronte non solo al disagio, ma anche allo scherno, agli insulti e anche alle violenze dei coetanei. “Alla scuola elementare ero vittima di un terribile bullismo”.

Solo nel 1998, dopo quasi dieci anni di battaglie, la mamma riuscì a far cambiare il sesso sui documenti di suo figlio. Il sospirato momento fu accompagnato dagli osanna dei media, che dedicarono al caso le prime pagine. Ma non dalla felicità del diretto interessato. “Cominciai a percepire – spiega – che la mia vita si complicava e nell’adolescenza si innescò una spirale che mi portò fuori controllo”.

“Non mi sentivo del tutto umano”

Complicazioni che certo non furono aiutate dalla cura farmacologica prescritta a Joe. “Assumevo farmaci per indurre la pubertà e far crescere il seno, ma sapevo che non avrei mai avuto una relazione”, scrive al quotidiano inglese il ragazzo. Che rincara: “Non avrei mai avuto una famiglia. Era come se non fossi del tutto umano”.

Ricorda che nel gioco preferiva sempre assumere ruoli maschili, come il pompiere o l’eroe, e sognava di diventare calciatore. Non era attratto dalla figura delle principesse. O meglio, era attratto sì, ma come lo sono la maggioranza dei maschi. “Mi piacevano le donne, non gli uomini”, racconta. E provava ad auto-giustificarsi pensando che fosse omosessuale.

Un balsamo inefficace rispetto alla profonda malinconia che lo assillava. Joe pensò anche al suicidio e si rivolse a uno psicanalista, che gli assegnò dei farmaci antidepressivi. “Ma mi sentivo ancora confuso e infelice”.

Cromosoma XY

All’età di venticinque anni, il ragazzo si fece sottoporre a un test del cromosoma in una struttura specializzata inglese, il Pilgrim Hospital di Boston. Prima di quel momento, non aveva mai deciso di farlo, pur sapendo che era l’unico modo per avere una risposta alla domanda sul suo genere sessuale, per non provocare “dolore e sensi di colpa a sua madre”.

Quando ritirò i risultati, i suoi occhi caddero subito sulle lettere XY. Ebbene, Joe era un maschio. Né l’imposizione culturale imboccata ai suoi genitori dal luminare della pediatria del Great Ormond Street Hospital né l’assunzione di farmaci erano riusciti a negare la realtà di natura. “Ero un uomo e stavo vivendo una bugia”.

Questa immersione nella realtà gli fece aprire gli occhi sul suo passato: “Per tanto tempo avevo faticato a stringere rapporti e amicizie, solo per colpa del fatto che non sapevo chi fossi”. In realtà Joe era assillato fin dall’età della ragione dall’idea che fosse un maschio, ma non si era mai permesso di esprimerla perché “tutti avevano superato grandi ostacoli per cambiare il mio certificato di nascita”.

Identità rubata

Oggi Joe si sente “come se la mia identità mi fosse stata rubata quando avevo un anno” e sta lottando per riaverla indietro, anzitutto smettendo di assumere ormoni femminili. Afferma che l’acquisto del primo paio di scarpe da uomo è stato un momento importante per lui, una di quelle piccole sfide quotidiane per riappropriarsi del suo essere un uomo.

Ha anche scritto un libro (She’s a boy – The Shocking True Story of Joe Holliday) in cui racconta la sua vicenda, e sta conducendo una campagna contro la chirurgia ai genitali dei bambini nati con sesso indeterminato. Solo a venticinque anni, facendo il test del cromosoma, lui ha scoperto di esser stato evirato poco dopo il parto. Un gesto che gli ha impedito di diventare padre un giorno.

Nel 2015, all’epoca del suo articolo sul Daily Mail, era in attesa dell’intervento chirurgico per la ricostruzione dei genitali. “Il genere sessuale è molto più che una questione di vestiti o di condizionamento. Sono stato cresciuto come una femmina, ma ero assolutamente un maschio”.