Giovanni Paolo II: un testimone credibile e umano del Vangelo

«Da lungo tempo nessuno parlava di Dio o di amore… Io credo che molti di coloro che sono andati ad ascoltare il Papa hanno per la prima volta udito un uomo, che si indirizzava a loro parlando di fede e non di politica…». Così si espresse Eugène Ionesco, quando Giovanni Paolo II, nella primavera del 1980, andò per la prima volta in Francia. Fin dal suo governo episcopale in Polonia, Karol Wojtyla dimostrò il suo genio pastorale e organizzativo, ideando nella sua arcidiocesi tre uffici che poi, una volta divenuto Papa, divennero dicasteri vaticani: laici, famiglie, operatori sanitari.

Alla capacità di valorizzare e comporre in proficua polifonia le diversità di personalità e sensibilità ecclesiali, corrispose la disponibilità a delegare e concedere spazi di manovra e libertà creativa nello svolgimento delle mansioni. Sembrava una caratteristica da “top manager”, in realtà era un profondo radicamento di fede. Il 30 aprile 2011 su L’Osservatore Romano usciva un editoriale non firmato, attribuibile quindi al direttore del quotidiano della Santa Sede, Giovanni Maria Vian, storico del cristianesimo e profondo conoscitore dei meccanismi che caratterizzavano il funzionamento della Curia. «La sorpresa più grande che Giovanni Paolo II ci lascia in eredità non è tanto la scoperta di un’intuizione di governo pastorale, lo stile personalissimo e mai solo protocollare nel ministero di successore di Pietro, quanto piuttosto la sua capacità di vivere il rapporto con Dio – sottolineò L’Osservatore Romano –. Dal processo canonico sulla sua pratica eroica delle virtù cristiane e dal carattere miracoloso della guarigione dal morbo di Parkinson della religiosa attribuita alla sua intercessione emerge una voce comune: l’unione con Dio in tutta la vita di Karol Wojtyla era tanto normale da sembrare una sua seconda natura. Egli appariva un’anima che aveva cercato di adeguarsi alla santità di Dio, alla cui presenza ordinariamente respirava e agiva. Esprimendo una tensione verso l’alto cresciuta negli anni e divenuta impressionante nell’ultimo decennio di pontificato, quando la malattia inarrestabile ha progressivamente minato le sue forze fisiche».

Secondo il quotidiano della Santa Sede, mentre nel primo periodo del suo pontificato prevaleva l’ammirazione, una volta divenuto debole e fragile agli occhi del mondo, Giovanni Paolo II è diventato familiare ed è stato percepito da credenti e non credenti come un testimone credibile e umano del Vangelo predicato senza sosta in tutto il mondo. L’invito ad aprire le porte a Cristo senza paura, lanciato all’inizio del suo pontificato, è stato poi incarnato nella sofferenza. Affrontata con serena pazienza perché in compagnia di Cristo e insieme a milioni di uomini e donne accomunati da analoghi patimenti. «Le parole predicate apparivano verificate dalla sua testimonianza semplicemente cristiana – chiosa L’Osservatore Romano –. Nella massima debolezza fisica, mai nascosta, il successore di Pietro è apparso ancora più amato perché ancora più simile al Buon Pastore che dà la sua vita, e così incoraggia a vivere. Era diffusa la convinzione che il Papa capisse la piccola vita quotidiana di quanti faticano a tirare avanti: tutta questa gente ai margini dei riflettori cercava di carpire il segreto della forza interiore che sprigionava da Giovanni Paolo II».

Quando, dopo l’imposizione della berretta rossa, sul sagrato della basilica vaticana i nuovi cardinali si scambiavano il saluto tra loro e con gli altri porporati più anziani in un clima festoso, Karol Wojtyla (era il suo ultimo concistoro nell’ottobre del 2003 e il Parkinson era ormai evidentissimo) guardava in silenzio, quasi con un occhio di congedo da questa vita. Sembrò d’improvviso come appartato in un’altra dimensione che, in quel momento lieto e importante, si rivelava essere un ritiro abituale del suo spirito. «Sempre presente a tutto e a tutti mentre la sua anima risiedeva altrove, in un rifugio interiore ove avveniva un colloquio ininterrotto con Dio – puntualizza il quotidiano della Santa Sede –. Lì era la fonte della sua amabilità, della sua energia, del coraggio pastorale. La necessità di riaprire nella Chiesa e nel tempo presente secolare e globalizzato l’interesse verso Dio per tornare a edificare società libere e fraterne, ha abitato il suo insegnamento e costituito il segreto della sua vita quotidiana. È l’eredità lasciata da Giovanni Paolo II, questione moderna per eccellenza. Non a caso, il successore Benedetto XVI ne ha fatto la ragione stessa del suo pontificato».