Bancari, quello sciopero che non s’ha da fare

Le banche sono nell’immaginario comune una sorta di governo ombra degli stati, presunti luoghi di potere capaci di influenzare tutte le politiche messe in atto dai governi e di indirizzare qualsiasi decisione possa essere presa nel mondo ma, in realtà, sono istituti che svolgono un ruolo fondamentale nella struttura economico e sociale di ogni paese.

Girando per strada si sente parlare di banchieri dagli stipendi di giada, come recitava una famosa gag di Daniele Luttazzi, ma in pochi pensano a cosa sia veramente il lavoro in banca, non dico nelle banche d’affari come Goldman Sachs o la nostra Mediobanca, che meriterebbero un approfondimento a sé, ma nelle banche commerciali a cui tutti, prima o poi, abbiamo dovuto far ricorso.

Al di là degli ingressi, delle casse, degli uffici dove le luci sono accese anche a mezzogiorno e i computer ronzano continuamente e dietro i colletti bianchi o il tailleur che spiccano spesso all’occhio di chi vi entrasse ci sono uomini e donne che lavorano, non certo con stipendi da favola generalmente, magari anche percorrendo chilometri e chilometri per giungere in ufficio a seguito dei frequenti avvicendamenti nella rete commerciale o per giungere alle direzioni generali.

L’emergenza sanitaria che si è aperta con l’epidemia odierna ha colpito anche questo settore che, generalmente, è visto separato dalla realtà di ogni giorno, occupato a maneggiare denaro e a giudicare privati ed aziende per concedere il credito necessario a acquisti importanti o investimenti ma anche, cosa meno visibile, a gestire tutta la rete dei pagamenti e delle transazioni finanziarie dell’intero sistema economico.

Sono queste le ragioni per cui il settore del credito sia considerato strategico ed essenziale ed è per questo che i bancari, spesso visti di sbieco, sono stati chiamati a lavorare anche in questi giorni di quarantena.

Alcuni, forse più fortunati, lavorando negli uffici tecnici o di direzione hanno la possibilità di accedere al lavoro agile o al telelavoro, potendo così evitare di uscire di casa, ma la maggior parte di essi deve recarsi ogni mattina ad aprire la filiale e ad incontrare la clientela per smarcare le scadenze improrogabili o per studiare le soluzioni necessarie a superare questo periodo che, come indicato da Mario Draghi in un recente articolo sul Financial Times, porterà con molta probabilità il mondo intero in una profonda recessione da cui occorrerà diverso tempo per uscirne.

Il rischio di contagio, per queste ragioni, è piuttosto elevato tra gli appartenenti alla categoria, soprattutto per chi operasse nel front office e le Organizzazioni Sindacali di categoria, correttamente, hanno posto un’attenzione particolare sulla questione richiedendo ad Abi e Federcasse, l’associazione che raggruppa gli istituti di credito cooperativo, degli interventi massicci a tutela del personale.

La situazione, ovviamente, non è rosea per nessuno soprattutto dal lato dei rifornimenti dei kit di sicurezza e dei presidi sanitari: tutti abbiamo visto la scarsità di mascherine, non solo FFP2 e FFP3 ma anche delle mere mascherine chirurgiche, come dei gel disinfettanti come l’Amuchina e gli istituti si stanno adoperando per mettere in sicurezza non solo i conti ma anche e soprattutto il personale.

Nonostante le sperimentazioni fossero partite da tempo e l’appena rinnovato CCNL lo preveda esplicitamente il pericolo epidemico ha spinto il lavoro agile più di qualsiasi accordo sindacale, con i dipendenti che, se non mossi da assoluta necessità, sono spinti all’adesione al “lavoro da casa” o presso la struttura più vicina alla residenza, sono stati ridotti gli orari di apertura e, spesso, organizzata una turnazione del personale per minimizzare il rischio contagio, sono state messe in atto numerose iniziative per ridurre al minimo l’afflusso in banca sponsorizzando i canali automatici e digitali, nonché richiedendo la fissazione di un appuntamento specifico per accedere alle filiali e via di seguito.

In sostanza gli istituti bancari si stanno muovendo in maniera celere e reattiva rispetto all’emergenza per tutelare i propri dipendenti ma mancano, quasi ovunque, quei kit di protezione, mascherine, guanti e disinfettanti personali, che sono richiesti a gran voce ma che è estremamente complesso reperire, stante anche il fabbisogno del settore sanitario in prima linea oggi, anche pagandoli a peso d’oro.

L’inasprimento della serrata dettata dalle misure di contenimento del virus, in aggiunta, ha fatto elevare la richiesta di chiusura per tutte le banche almeno fino a inizio aprile per questioni di sicurezza. Il logico diniego, anche su input governativo, ha fatto scattare la mobilitazione e la minaccia di sciopero. In tempi normali questa sarebbe una cosa logica e motivata ma oggi parlare di uno sciopero, pur come extrema ratio nemmeno così probabile, è, quantomeno, fuori luogo.

Partiamo dal fatto, già detto, che il settore bancario sia la “cinghia di trasmissione” di tutto il sistema economico e che non si possa fermare, fosse anche solo per pagare gli stipendi o gli assegni da ammortizzatore sociale, per far transitare i pagamenti fra i vari attori economici fino al mero prelevamento di contante per andare a fare la spesa.

È evidente, quindi, che la chiusura richiesta non possa essere una soluzione perseguibile anche perché alle obiezioni possibili sulla possibilità di impostare le operazioni via internet, di poter prelevare con il Bancomat o di poter effettuare i pagamenti tramite carte e strumenti digitali alternativi si può rispondere che qualcuno debba obbligatoriamente debba stare dietro a supervisionare i sistemi per evitare blocchi, ad aprire e chiudere le giornate contabili per permettere bonifici e pagamento effetti, a caricare gli ATM, etc, senza contare tutta quella fascia di clientela poco evoluta che non voglia o non sappia usare carte e canali digitali.

Fermare il settore bancario significherebbe azzoppare tutto il Paese con i tempi di riavvio di una petroliera e non di un motorino elettrico e, per queste ragioni, l’unica possibilità di equilibrio è la messa in sicurezza delle filiali e del personale, cosa per cui sia gli associati di Abi sia quelli di Federcasse si stanno muovendo. Onestamente parlando, però, non è che una giornata di blocco, oggi, possa essere più di tanto deleteria per il sistema (se non per il salario perso per gli aderenti all’iniziativa) ma a livello di immagine sarebbe un boomerang di non poco conto. Fermarsi e creare disagio ulteriore nel mezzo di un’emergenza planetaria non è certo un bel biglietto da visita né per i rappresentanti dei lavoratori né per il sistema paese in generale.

Ogni azione necessaria per ottenere maggiore sicurezza, però, non va tralasciata, spronando le aziende a non sottovalutare sia i rischi sanitari sia quelli derivanti da uno scoramento e dalla paura crescente nei lavoratori che devono poter lavorare in relativa tranquillità e, infatti, il settore bancario, per voce di ABI, si è impegnato a garantire l’adozione di misure organizzative adeguate per tutelare la salute del personale e interventi interni alle filiali per garantire la distanza tra le persone di almeno un metro, a questo va aggiunto la distribuzione di kit di protezione, comprese le “mascherine”, una volta soddisfatte le necessità del personale sanitario, richiesta quest’ultima che è il vero motivo della scarsità dei presidi sanitari di protezione sul mercato.

Non è un caso che, dopo questi ultimi sviluppi, tutti i sindacati del settore sembra abbiano accantonato l’idea di un possibile sciopero che, torno a ribadire, sarebbe stato controproducente e in definitiva inutile poiché la tutela della salute dei lavoratori è, come desumibile dagli impegni che l’associazione bancaria ha preso, obiettivo comune delle OOSS e delle aziende.