L’acqua, fondamento della nostra alimentazione. Intervista all’esperta Fao Livia Peiser

In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, l’intervista di Interris.it a Livia Peiser del team Land and Water della Fao

Foto di Aaron Burden su Unsplash

L’acqua è fonte di vita. Questo elemento è infatti essenziale affinché tutti i viventi possano nutrirsi. Gli ecosistemi e le civiltà non possono non reggersi anche su questa risorsa naturale, la cui disponibilità però si va riducendo, per via dell’uso e del consumo antropico e degli effetti del cambiamento climatico, mentre ci attende che la domanda cresca ancora. Proprio per la sua importanza e la criticità della situazione, l’acqua è il tema dell’edizione 2023 della Giornata mondiale dell’alimentazione della Fao, che si celebra il 16 ottobre – lo stesso giorno in cui, 78 anni fa, in Canada venne fondato l’istituto delle Nazioni unite specializzato in agricoltura e alimentazione. Il fenomeno interessa soprattutto Asia occidentale, Caraibi e continente africano, che supera la media globale, mentre si registrano progressi in Sud America e nel resto dell’Asia.

La fame

Prima di passare a questo bene, ribattezzato l'”oro blu”, una panoramica sullo stato globale della fame nel mondo. Secondo il rapporto “State of food security and nutrition in the world” 2023, il numero di persone colpite dalla fame nel 2022 è 735 milioni, con un incremento di 122 milioni rispetto al 2019. Sul fronte dell’insicurezza alimentare un terzo della popolazione mondiale, circa 2,4 miliardi di persone, non ha avuto accesso costante al cibo, soprattutto nelle zone rurali. Su quello della malnutrizione, salgono a 3,1 miliardi (+134 miliardi sul 2019) le persone che non si sono potute permettere un’alimentazione sana, sempre registrando dati peggiori nelle zone rurali rispetto a quelle urbane. Tra questi, milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni, che presentavano ritardi nella crescita o presentavano segni di eccessiva magrezza.

La risorsa blu

L’acqua copre circa il 71% della superficie terrestre, ma solo il 2,5% è acqua dolce, cioè quella che si utilizza per bere, per l’agricoltura e per molti usi industriali. Le coltivazioni “assorbono” il 72% dei prelievi di acqua dolce e si prevede un aumento della domanda del 35% da qui al 2050, mentre le industrie ne utilizzano il 16% e il restante 12% va alle abitazioni e ai servizi. Ma le risorse di acqua dolce a persona sono diminuite del 20% e attualmente 2,4 miliardi di persone vivono in Paesi con problemi idrici. Tra le cause ci sono un’eccessiva estrazione della risorsa, problemi di inquinamento e una cattiva gestione dell’acqua.

L’intervista

Alla luce di questa situazione, Interris.it ha chiesto a Livia Peiser del team Land and Water della Fao quali possono essere le soluzioni per far sì che questa risorsa sia distribuita in modo equo, utilizzata in modo efficiente e si riducano gli sprechi.

Il tema dell’edizione di quest’anno è l’acqua. Perché questo elemento è così importante per la sicurezza alimentare?

“L’acqua ci ‘nutre’ perché permette di produrre quello che mangiamo. Oltre il 70% del prelievo dell’acqua è destinato all’agricoltura, l’irrigazione consente di coltivare dove altrimenti sarebbe proibitivo farlo, aumenta la resa per ettaro dei terreni e aiuta a resistere agli effetti del cambiamento climatico, perché con l’aumento delle temperature si verificano periodi di siccità più intensa e prolungata e aumenta il fabbisogno idrico delle piante. L’irrigazione è quindi uno strumento fondamentale per la sicurezza alimentare. Più di 700 milioni di persone nel mondo soffrono la fame e il fabbisogno alimentare crescerà per effetto dell’aumento della popolazione, dello sviluppo economico e del cambiamento climatico”.

Oltre due miliardi di persone vivono in condizioni di stress idrico e i periodi di siccità sono aumentati di circa un terzo. Dove la situazione è più complessa?

“La Fao raccoglie i dati sull’agricoltura e sulla scarsità d’acqua – che sono collegate – da tutti i Paesi membri nel sistema informativo Aquastat e calcola, per ognuno di questi, i diversi indicatori di stress idrico e di gestione delle risorse per valutare come ottimizzare l’uso di questo elemento. In questo modo mappiamo le situazioni più a rischio, anche se queste cambiano nel tempo e nello spazio, considerando anche che la valutazione di stress idrico non si fa solo in un singolo Stato ma sull’intero bacino, andando a fare un bilancio tra il consumo e la disponibilità del bene. Da quello che vediamo, comunque, tra i paesi che soffrono di piú per la scarsità d’acqua ci sono i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, prevalentemente quelli del Nord Africa e del Vicino Oriente. Sono stata di recente in missione in Marocco, un Paese avanzato nella gestione delle risorse idriche che possiamo considerare un ‘laboratorio’ degli effetti del cambiamento climatico. Da un paio d’anni in alcune zone non c’è abbastanza acqua per soddisfare tutta la domanda e quindi si dà la priorità all’uso umano e ai servizi essenziali, nel frattempo si investe in tecnologie per il trattamento delle acque reflue urbane e per la desalinizzazione dell’acqua di mare per usi agricoli – da accompagnare con incentivi per via dei costi molto elevati e da politiche di riduzione del consumo di acqua”.

Quali possono essere le soluzioni per una gestione delle risorse idriche che migliori la produttività con meno consumo di acqua e senza sprechi?

“Occorrono tecnologia, consapevolezza e volontà politica da parte di tutti per verificare cosa succede e indirizzare le scelte. In agricoltura non basta la tecnologia se non è accompagnata da sistemi di monitoraggio e di contabilità dell’acqua. La Fao, tramite le stime del consumo idrico a partire dall’evapotraspirazione – il processo mediante il quale le piante coltivate utilizzano l’acqua – ricavate con dati satellitari, può calcolarne il consumo reale e valutare dove le pratiche agricole consentirebbero di ottenere una resa per ettaro maggiore in base all’unità di acqua consumata, che si misura in chilo su metro cubo d’acqua. Inoltre sempre la Fao promuove, tra gli altri, un programma chiamato ‘One million cisterns’ per la raccolta di acqua piovana. Ma la riduzione degli sprechi ha anche a che fare con i comportamenti individuali. Dovremmo tenere a mente che per produrre quegli alimenti che scartiamo, magari ottenuti da animali cresciuti con foraggio irrigato, è stata impiegata una grande quantità di acqua”.

Ci può essere un recupero di alcune pratiche tradizionali?

“Sì, per molteplici motivi. Prima bisogna valutare se ancora funzionano, se sono adatte a contesti interessati dal cambiamento climatico, che in alcune zone sta accelerando i suoi effetti, e se sono compatibili con tutti gli utenti che hanno accesso all’acqua. Nel caso siano ancora valide, permettono di ottimizzare l’uso della risorsa e inoltre sono già accettate nella cultura della comunità in cui si avvia un progetto di gestione dell’acqua”.