Le radici della mafia

Non deve essere celebrativa una riflessione sul giudice Borsellino. Suonerebbe come un’offesa nei suoi confronti di uomo delle Istituzioni che ha pagato con la vita un impegno quotidiano di resistenza alla corruzione e alla mafia.

Certo, nel rileggere alcuni brani (quelli pubblicati dai giornali, mentre dovrebbero essere resi pubblici integralmente quanto meno nei siti di Camera, Senato e Presidenza della Repubblica) delle risposte date da Borsellino ai suoi colleghi del Consiglio Superiore della Magistratura, insieme a molta rabbia, emerge un quadro del nostro Paese assai preoccupante: vi spicca l’irrisolto conflitto tra giustizia e diritto, tra Antigone e Creonte, o, più semplicemente, tra ciò che consideriamo una buona comunità e ciò che tale non è.

Eppure, rispetto alla mafia, o per meglio dire, alle mafie abbiamo una gamma di presidi del tutto soddisfacente: dall’antimafia parlamentare a quella negli ambiti della giurisdizione per finire con i comitati governativi. E’ un campo nel quale la tripartizione dei poteri sembra attenuarsi, sciogliersi in una azione comune di contrapposizione ad un potere criminale che è forte ed unitario. Allora, è questo l’interrogativo della persona comune, perché mai non si riesce a debellare la criminalità mafiosa? Non c’è dubbio alcuno che quelle istituzioni siano popolate di gente per bene e competente e coraggiosa. Se, nonostante la cattura e la condanna di capi e sottocapi, le mafie continuano a produrre fatturato sociale e a generare adesioni e nello stesso tempo paura e disdoro per l’Italia intera, in onore di Borsellino, occorre interrogarsi sulle cause. Ma non può essere un autoesame indifferenziato. Debbono cominciare ad interrogarsi, e a dare risposte pubbliche, i responsabili politici ed amministrativi dei territori d’origine delle mafie e di coloro che da quelle terre sono saliti alle responsabilità politiche nazionali. Perché sono loro i primi ad essere sconfitti e sconfessati. Non sono stati capaci né di opporsi significativamente né di vincere la loro battaglia. Per dirla con Davigo, sono le classi dirigenti le prime responsabili del degrado morale del Paese, in questo caso, del rischio mortale della perdita del controllo di legalità del territorio. E, subito dopo, debbono interrogarsi i cittadini, di quei territori e di tutti gli altri nei quali la mafiosità si atteggia ed esprime in cento e cento modalità, tutte minacciose e pericolose. Se non si sviluppa una vera e propria resistenza alla mafia, in barba alle più raffinate istituzioni non se ne verrà fuori. Se il fascismo non fosse stato contrastato dalla graduale, crescente partecipazione popolare, l’Italia non avrebbe riconquistato dignità democratica. Paura giustificata della violenza ci fu allora e paura giustificata della violenza, oggi, ci deve essere. Chiunque parli con i propri amici nelle regioni della criminalità mafiosa si sente dire, con sinceri accenti di dolore, che opporsi è pericoloso per sé e la propria famiglia. Bisogna creder loro ed operare per creare azioni di gruppo, per creare capacità di resistenza collettiva. Sono morti molti eroi isolati, preti, uomini della giustizia, delle forze dell’ordine: la strada non è quella dell’eroismo individuale. Il martirio di quegli eroi salva soltanto loro, ma condanna tutti noi.

Ed infine, perché la lezione di Falcone e Borsellino dia frutto dobbiamo suscitare un movimento di resistenza internazionale non solo e non tanto perché le mafie calpestano gli Stati Uniti come il Giappone o la Cina o territori dei quali neppure conosciamo l’esistenza, quanto perché si tratta di ristabilire confini e regole di un modello sociale che non ne ha più, che ha legittimato relativismi, pragmatismi, violenze che attraversano il mondo intero e, a dirla tutta, ci costringono a pensare che la mafiosità è globale.

A Borsellino dobbiamo la gratitudine più sincera per aver acceso la coscienza di ognuno di noi, e con lui la dobbiamo a tutti i morti di mafia. E a tutti coloro che pur vivi hanno dovuto soffocare la loro dignità per paura della mafia dobbiamo solidarietà ed impegno… per fargliela riconquistare e per non perderla noi stessi.