Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa

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«Ma voi, chi dite che io sia?» «Vos autem quem me esse dicĭtis?»

Domenica 23 agosto – XXI settimana tempo ordinario – Mt 16, 13-20

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Il commento di Massimiliano Zupi

Nella prima parte del Vangelo di oggi, Gesù pone due volte la stessa domanda, tuttavia in modalità molto diverse. «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»: soggetto ed oggetto della domanda sono alla terza persona singolare; l’interrogativo cioè ha forma impersonale. Gesù stesso sostituisce al proprio io l’egli, il «Figlio dell’uomo»: si aliena da sé stesso, non si coinvolge nel quesito. Gli interroganti sono «la gente»: è il «si» impersonale (si dice, si pensa, …), dove non ci sono nomi propri né responsabilità personali; la gente, come la folla, è senza volto: non è un tu.

Le risposte sono molteplici, ma hanno un comune denominatore: Giovanni Battista, Elia e Geremia sono grandi profeti, ma tutti morti. Per la gente, il Figlio dell’uomo non è un vivente in carne ed ossa: la folla non è toccata, non ha una relazione personale che la leghi a lui. Quando però la stessa domanda viene rivolta ai discepoli, il registro cambia totalmente: «Ma voi, chi dite che io sia?». Oggetto e soggetto questa volta hanno un nome proprio, sono persone: da una parte, «io», Gesù, che vi parlo, che condivido tutto con voi, che vivo con voi; dall’altra parte, voi, quei Dodici, chiamati per nome uno ad uno, a ciascuno dei quali − come tra poco a Pietro − egli può rivolgersi da amico ad amico, dandogli del tu.

Dall’anonimia ai nomi propri, dal «si» impersonale alla relazione personale. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», esclama Pietro: Gesù non è un morto, è vivo; anzi, è la vita stessa di Pietro, come ogni persona amata lo è per chi ama: come lo sposo è la vita della sposa. Pietro riconosce in Gesù anche il Messia atteso, il Cristo, e lo identifica addirittura con il Fi-glio di Dio, con Dio stesso: è la verità scandalosa del cristianesimo, che cioè quell’uomo sia Dio!

Tuttavia, in verità, Pietro impiegherà l’intera esistenza per comprendere davvero quel che pure già qui confessa: nei versetti immediatamente seguenti alla pericope odierna, infatti, rifiuterà l’annuncio della croce, così come poi, nell’ora della croce, avrebbe rinnegato il suo Signore (Mt 26, 70-74). Ciò nondimeno, ha fin d’ora la parte migliore, che non gli sarà tolta (Lc 10,42) e che gli permetterà di entrare sempre di più nella comprensione di quella verità per ora solo confessata: ha una relazione personale con Gesù.

È la scintilla della fede: Gesù non è un valore, una dottrina, ma una persona, un tu, più reale e concreto, più intimo e credibile di tutto ciò che lo circonda. «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona …»: cambia di nuovo registro. Il «tu» infatti diventa «Simone»: non il familiare «Pietro», ma un «Simone», accompagnato da un titolo solenne, lontano, «figlio di Giona». E poi, poco dopo, «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa»: non più la relazione amicale e personale, bensì l’istituzione, in tutta la sua oggettività. In effetti, ogni relazione personale ha bisogno di oggettivarsi, di istituzionalizzarsi, per vincere l’instabilità e l’aleatorietà del soggettivo, del personale: i due amanti devono sposarsi, affinché il loro amore edifichi una casa e dei figli, sia credibile a loro stessi e agli altri.

Tuttavia il cuore dell’istituzione, sua origine e fine, deve rimanere la relazione personale, intima, affinché non si sclerotizzi, non si isterilisca e muoia o, peggio ancora, diventi prigione senza volto, che uccide. Emblematicamente, al termine del Quarto Vangelo, Giovanni, il discepolo amato, rimarrà accanto a Pietro, per sempre (Gv 21,22). Ma Pietro stesso, per essere pietra viva a fondamento dell’istituzione, dovrà conservare − e di fatto con-serverà (cfr. 1 Pt 2,21-25) − il ricordo di quell’incrocio di sguardi, unico, personalissimo, con il suo Signore, avvenuto al momento del triplice rinnegamento (Lc 22,61).