La nostra cecità attrae la luce di Dio

vedente

«Due ciechi lo seguirono gridando: “Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”» «Secūti sunt eum duo caeci clamantes et dicentes: “Miserēre nostri, fili David!”»

Venerdì 4 dicembre – I settimana di Avvento – Mt 9, 27-31

Il commento di Massimiliano Zupi

La scena si apre con una notazione di per sé paradossale: due ciechi si mettono a seguire Gesù. Ma come fanno a seguirlo se sono ciechi? La loro invocazione sarebbe stata fatta propria dall’esicasmo presso i monaci dell’Oriente cristiano fin dai tempi dei Padri del deserto del IV secolo: uomini che cercavano la pace, in greco appunto hesychía, attraverso il contatto con Dio.

In tempi più recenti, la medesima invocazione sarebbe diventata la formula da ripetere incessantemente nella preghiera del cuore propria della tradizione ortodossa russa. In entrambi i casi, qual è la via attraverso la quale si arriva all’intimità con Dio? Non attraverso la propria bravura, non grazie alle proprie virtù, ma semplicemente riconoscendosi peccatori ed invocando la misericordia di Dio: «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!».

Ecco, la nostra cecità attira la sua luce: per questo, paradossalmente, la cecità si può fare sequela. La nostra miseria suscita la sua misericordia; la nostra debolezza richiama la sua potenza curativa. Dio è amore: è il nostro essere bisognosi che lo fa riversare su di noi, è la nostra povertà e piccolezza ad invitarlo irresistibilmente ad entrare nella nostra casa, perché ci faccia dono della sua ricchezza e si prenda cura di noi.