“Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia che le sue opere sono state fatte in Dio”

Santa

«Ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce»
«Et dilexērunt homĭnes magis tenĕbras quam lucem»

Seconda Settimana di Pasqua – Gv 3,16-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Il commento di Massimiliano Zupi

Siamo alla conclusione del dialogo con Nicodèmo. In esso viene rivelato come entrare e vedere già adesso il regno dei cieli: rinascendo dallo Spirito, guardando il Figlio dell’uomo innalzato. Il punto di partenza è dal basso, è la terra che l’uomo è: per questo egli ha bisogno di rinascere dall’alto. L’albero della croce è la via che unisce cielo e terra: lungo essa non è l’uomo che deve salire per raggiungere la vita eterna; è Dio che la percorre, per incontrare l’uomo. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»: questo versetto rappresenta uno degli apici della rivelazione biblica. Abramo obbedì e alzò il coltello sul suo unico figlio, che amava, Isacco, per sacrificarlo a Dio; ma l’angelo del Signore fermò la mano di Abramo (Gn 22,10-14): sarebbe stato Dio stesso infatti a sacrificare il proprio Figlio, l’Unigenito. Dio non esige sacrifici: egli stesso piuttosto si sacrifica per l’uomo; non chiede di essere amato e servito: è lui che ama e serve le sue creature (Mc 10,45). Dio è amore (1 Gv 4,8.16): per questo è dono di sé, di ciò che ha di più prezioso, del suo stesso cuore, il Figlio. Nella notte di Pasqua, gli Israeliti segnarono gli stipiti e l’architrave delle proprie case con il sangue dell’agnello: l’angelo della morte, passando, non avrebbe colpito i loro primogeniti (Es 12,7.12-13). L’Agnello è Cristo, il Figlio di Dio dato per il mondo: il suo sangue ci salva dalla morte. Dio è amore: per questo non è condanna, ma perdono incondizionato (Sal 103/102,8-17). Chiunque crede in lui, non si perderà; al contrario, chi non aderisce a lui, chi non tiene il proprio volto rivolto verso il suo, andrà perduto: satana infatti, «il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1 Pt 5,8). Ed ecco: «la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce». La presenza e la pervicacia del male nel cuore degli uomini è il grande problema del mondo. Ciascuno è a seconda di ciò da cui proviene e a cui va. Se la sua origine sono le tenebre, vive nelle tenebre; se proviene dal nulla, il nulla produrrà intorno a sé. Se invece proviene dalla luce, effonde luce; se sa che la propria vita è un dono d’amore, donerà amore. Gesù è venuto a convincerci che siamo dal Padre e al Padre torneremo. L’amore è come la luce: si effonde, si dona, non ha nulla da nascondere. Il male invece è come le tenebre: non si mostra, si ripiega su di sé, non dice la verità. Come potrà la luce illuminare le tenebre? Le tenebre possono rifiutare la luce: possono serrarla nel pugno chiuso e soffocarla. Non possono tuttavia evitare che proprio allora essa si effonda totalmente, donandosi pienamente: niente e nessuno le può impedire di amare follemente, fino alla fine (Gv 13,1).