Il mistero dell’asteroide che potrebbe colpire la Terra

Nelle scorse settimane una notizia ha provocato un brivido lungo la schiena di molti. Un asteroide di 40 metri di diametro, il 2006 QV89, potrebbe avere un impatto con la Terra. È stata indicata anche una possibile data: il 9 settembre prossimo. Se si considera che come grandezza è due volte superiore a quello esploso in Russia nel 2013, capace di provocare enormi danni a chilometri di distanza, qualche inquietudine è legittima, nonostante l’impatto resti un’ipotesi remota. Ma se conosciamo i rischi che provengono dallo spazio e abbiamo le capacità per affrontarli, è anche grazie a una squadra di scienziati italiani: quella dell’Università di Pisa. Circa venti anni fa, dinanzi all’allarme per il possibile impatto tra un asteroide e la Terra, la comunità scientifica internazionale si adoperò per fissare criteri sui rischi reali: ebbene, il gruppo pisano riuscì a battere sul tempo la Nasa, ideando un innovativo sistema di monitoraggio. Chiamato NEODyS. Del gruppo fa parte il prof. Giacomo Tommei, docente di Fisica Matematica e coinvolto in un progetto di ricerca sulla dinamica degli asteroidi e il monitoraggio di impatti con la Terra.

Prof. Tommei, possiamo dare una percentuale all’ipotesi che l’asteroide 2006 QV89 colpisca la terra?
“L’asteroide 2006 QV89 ha un’orbita molto incerta perché disponiamo di poche osservazioni: l’oggetto è stato infatti osservato solo per 10 giorni alla fine dell’estate del 2006 e poi è stato perso perché molto piccolo (circa 40 metri di diametro). Quello di cui siamo sicuri è che tornerà quest’estate in prossimità del nostro pianeta e sarà quindi nuovamente osservabile. L’incertezza orbitale attuale non esclude una possibilità di impatto con il nostro pianeta, seppur molto remota. Le faccio un esempio: l’orbita dell’asteroide è ovviamente una sola, ma, vista la nostra poca conoscenza di essa, possiamo immaginare che esistano più orbite possibili per l’oggetto, tutte compatibili con le osservazioni di cui disponiamo. Per quantificare il rischio che 2006 QV89 colpisca la Terra potete immaginare che, se considerassimo 7299 di queste orbite, che in gergo chiamiamo ‘virtuali’, solo una di esse porterebbe a una collisione”.

Appare dunque difficile ipotizzare in quale zona del pianeta avverrebbe l’impatto…
“Come vi ho spiegato l’incertezza orbitale è molto elevata, quindi calcolare la zona di impatto sulla Terra non avrebbe significato. Il cosiddetto ‘corridoio d’impatto’ viene calcolato quando la probabilità d’impatto supera l’1%. È questo il caso di oggetti molto piccoli (come ad esempio 2008 TC3, 2014 AA, 2018 LA e l’ultimo di pochi giorni fa 2019 MO), pochi metri di diametro, scoperti già in rotta di collisione con la Terra”.

Che danni provocherebbe?
“Dipende molto dalla composizione dell’oggetto e dalla sua risposta all’entrata in atmosfera. Il 15 Febbraio 2013 a Chelyabinsk, in Russia, un oggetto di natura asteroidale (di circa 18 m di diametro) esplose nei cieli a 23 chilometri di altezza provocando oltre mille feriti e molti milioni di euro di danni (ecco alcuni filmati). 2006 QV89 è più grande dell’impattore di Chelyabinsk e se arrivasse quasi integro al suolo potrebbe creare devastazioni nel raggio di diversi chilometri dal punto d’impatto oppure tsunami nel caso cascasse in mare”.

Quanti sono ad oggi gli asteroidi potenzialmente pericolosi per la terra?
“Attualmente gli oggetti NEOs (Near-Earth Objects) sono 20309, come è possibile vedere consultando il sistema online NEODyS-2, sviluppato negli ultimi venti anni dal Gruppo di Meccanica Celeste dell’Università di Pisa e da SpaceDyS srl (derivato dal nostro gruppo di ricerca). Tra questi oggetti, quelli che hanno una probabilità d’impatto per i prossimi cento anni diversa da zero sono 864. Questi calcoli sono fatti dal sistema di monitoraggio Clomon2, un sistema software basato su algoritmi matematici di determinazione orbitale”.

Qualcuno nel futuro prossimo?
“L’asteroide Apophis (circa 300-400 metri di diametro), scoperto nel 2004, e che ha destato un po’ di preoccupazione tra il 2004 e il 2005, avrà un incontro ravvicinato molto profondo (passerà a circa 5-6 raggi terrestri) nel 2029. Ma un impatto per quella data è escluso perché conosciamo molto bene la sua orbita”.

Esiste un piano di protezione?
“Dalla fine del secolo scorso c’è stato un interesse crescente nel monitoraggio d’impatto che ha portato a un aumento dei fondi per la cosiddetta protezione planetaria. Sia la Nasa (che possiede l’altro sistema di monitoraggio d’impatti Sentry alternativo al nostro Clomon2) che l’Esa (European Space Agency) hanno avviato programmi di sorveglianza e sviluppato concept di missioni per il rischio asteroidale. Ad oggi, la cosa migliore è sicuramente quella di potenziare l’intero sistema di monitoraggio d’impatto (i telescopi per l’osservazione del cielo, gli algoritmi e i sistemi software per il calcolo delle orbite), in modo da scoprire con anni di anticipo eventuali impatti di oggetti grandi che provocherebbero seri danni. Giocando d’anticipo sarebbe possibile quindi adottare una soluzione ‘dolce’, ovvero mettere in piedi una missione spaziale dedicata per deflettere l’asteroide facendo impattare un oggetto su di esso. A questo proposito sono state progettate due missioni, una americana Dart e l’altra europea Hera, per studiare la fattibilità di questo concetto. Il metodo di ‘forza bruta’, consistente nello sparare qualcosa contro l’oggetto che sta per impattare, è sconsigliato perché non conosciamo bene la composizione dell’impattore e si rischierebbero più danni che benefici”.

La collisione di un corpo celeste con la terra provocò una catastrofe in Siberia nel 1908: tra i 60 e gli 80 milioni di alberi vennero abbattuti. Quanto c’è da temere eventi simili?

“Esistono molti episodi di collisione di corpi celesti con la Terra. Quello di Tunguska è uno di questi. Nell’estate del 1908 un oggetto, probabilmente un asteroide roccioso con un diametro stimato tra i 60 e i 190 m, esplose ad un’altitudine tra i 6 e i 10 chilometri vicino a Tunguska, in Siberia. Nell’esplosione furono rilasciati circa 15 Megatons di energia bruciando svariati ettari di tundra siberiana. L’estinzione dei dinosauri è stata causata da un impatto di un oggetto di una decina di chilometri di diametro e sono stati trovati i resti del cratere da impatto (stimato intorno ai 180 chilometri di diametro) sotto le acque del Golfo del Messico. Le frequenze degli impatti e le loro conseguenze in termini di energia rilasciata sono visibili nella Figura sottostante.

Come si può notare un evento tipo Tunguska si verifica in media ogni 100 anni, mentre un evento catastrofico come quello che ha portato all’estinzione dei dinosauri ogni 100 milioni di anni. Quindi, da una parte la statistica ci può far stare tranquilli, ma dall’altra la comunità scientifica ha il dovere di impegnare risorse in questo campo”.