La Chiesa dice no alle pressioni di Pechino sui vescovi

Era stato salutato con i migliori auspici, eppure l'accordo provvisorio raggiunto tra il Vaticano e la Cina lo scorso settembre comincia a rivelare le prime crepe. Perlomeno, è quanto rivela la Nota della Santa Sede sugli Orientamenti pastorali per i Vescovi e i sacerdoti della Repubblica Popolare Cinese, pubblicata ieri 28 giugno allo scopo di “favorire il bene della comunità diocesana e la sua crescita nello spirito di unità, come anche un’evangelizzazione adeguata alle nuove esigenze della società cinese e la gestione responsabile dei beni della Chiesa” stando a quanto recita il documento. La Chiesa ha, cioè, ritenuto necessaria una nota per palesare la sua posizione in merito alla registrazione del clero che viene fatta attualmente in Cina. Il documento chiarifica una situazione che i fedeli cinesi conoscono bene. Proprio ieri, infatti, mons. Vincenzo Guo Xijin​​​​​​, vescovo della diocesi di Mindong, ha deciso di non partecipare alla cerimonia di dedicazione della nuova cattedrale di Mindong dopo il divieto del governo a presidere una Messa per le professioni religiose delle suore del Sacro Cuore: “Sono un uomo e non una scimmia che asseconda tutti i voleri altrui. Avevo pensato di non raccontare nulla, ma alcuni fratelli hanno detto che tutti hanno il diritto di conoscere la verità, e ciò che posso fare è pertanto comunicarvi la mia decisione” ha palesato il prelato in una lettera, in seguito pubblicata sul portale Asia News.

L'atto di registrazione

Alla luce dell'accordo provvisorio, ciò che ha destato l'attenzione della Santa Sede è la modalità con cui la Repubblica Popolare Cinese chiede al clero cattolico di registrarsi. Secondo le norme recenti, i vescovi sono invitati a firmare un atto di registrazione. Eppure per la Santa Sede, se un Vescovo o un sacerdote decidono di registrarsi civilmente ma il testo della dichiarazione per la registrazione non appare rispettoso della fede cattolica, essi possono precisare per iscritto all’atto della firma che lo fanno senza venir meno alla dovuta fedeltà ai principi della dottrina cattolica o, laddove non è possibile, possono avvalersi di una testimone. Una svolta rispetto a quanto prospettato dall'accordo precedente, perché il Vaticano rispetta chi, in coscienza, ritiene le condizioni imposte da Pechino inadeguate. La Chiesa, cercando di fare chiarezza su questo punto, fa riferimento alla stessa Costituzione cinese: “In primo luogo è doveroso tenere presente che la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese dichiara formalmente di tutelare la libertà religiosa (art. 36)” recita la nota.

Il ruolo dei vescovi

I soggetti a cui il documento fa riferimento sono proprio i vescovi, oggetto di controversia con Pechino, ma anche motore della Chiesa cinese. Roma non esclude che a loro vada il compito più difficile per affrontare le sfide della Chiesa in Estremo Oriente. La nota, infatti, annovera tra i “compiti costitutivi” dei vescovi quello di “dirimere le controversie per evitare un offuscamento della carità fraterna”. Per farlo, la Chiesa riprende lo stesso testo dell'Apostolorum Successores, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi del 22 febbraio 2004: “nutra e manifesti pubblicamente la propria stima per i presbiteri, dimostrando fiducia e lodandoli se lo meritano; rispetti e faccia rispettare i loro diritti e li difenda da critiche infondate; dirima prontamente le controversie, per evitare che inquietudini prolungate possano offuscare la fraterna carità e danneggiare il ministero pastorale”. La Chiesa ricorda l'accordo dell'ottobre scorso per ciò che riguarda molti vescovi ordinati senza mandato apostolico che hanno chiesto e ottenuto la riconciliazione con il Successore di Pietro. Davanti a una rinnovata comunione con la Sede Apostolica, si chiede, però, alla Cina un'integrazione dei prelati senza che costoro siano vittime di intimidazioni o siano soggetti a pressioni da parte dello Stato. La Santa Sede s'impegna a rafforzare un dialogo con le autorità cinesi, ma non può che chiedere a Pechino di fare lo stesso sulla via di un accordo il più armonico e concorde possibile. Sul carattere di indipendenza della Chiesa cinese, inoltre, il Vaticano ricorda come questa sia da intendere in un contesto prettamente politico, non di divisione dal Papa e dalla Chiesa di Roma.

Il ruolo dei fedeli

La festività dei Santi Pietro e Paolo è stata l'occasione per fare memoria del significato profondo di Chiesa in conformità con la missione di Cristo. Allo stesso modo, la Santa Sede invita i fedeli cinesi a partecipare alla complessità del contesto ecclesiale cinese e a rispettare le scelte dei vescovi: “La comunità cattolica locale li accompagni con spirito di fede, con la preghiera e con l’affetto, astenendosi dal giudicare le scelte degli altri, custodendo il vincolo dell’unità e usando misericordia verso tutti”.  Anche in questo caso, nell’attesa di poter giungere a un dialogo costruttivo tra le due parti, la Santa Sede ha invitato esplicitamente la Repubblica cinese a non fare pressioni intimidatorie nei confronti delle comunità cattoliche “non ufficiali”, come già avvenuto in precedenza. Secondo padre Sergio Ticozzi, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere ad Hong Kong e in Cina, si ha l’impressione che il documento sia un discorso un po’ teorico e ottimista che non prende in considerazione i dati delle restrizioni vigenti sulle strutture della Chiesa e soprattutto sulla vita dei cattolici: la nota “non sembra realizzare, soprattutto, l’intento chiaro delle autorità cinesi di ridurre la Chiesa ad una istituzione statale e il clero a funzionari di stato” ha dichiarato il prelato ad AsiaNews.