Il principale compito del Signore dopo la Risurrezione

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Stiamo assistendo a tanti disordini. Basta un po’ di sensibilità per vedere le reazioni delle persone sempre più intimorite e per preoccuparsi. Il più delle volte, infatti, queste fragilità non possono che essere accompagnate che dalla nostra impotenza: del resto, cosa si può fare di fronte alla spietatezza, alla cattiveria fine a sé stessa o alla violenza cieca? Solo ascoltare, cercare di capire? Il Signore risorto ci mostra una sensibilità speciale, si potrebbe dire pasquale. La sua principale preoccupazione o addirittura il suo compito dopo la Risurrezione è quello di consolare, o meglio di risollevare lo spirito dei discepoli smarriti dopo gli eventi della Settimana Santa. Si tratta di aiutarli a credere nella Risurrezione e ad accettarne e comprenderne tutte le conseguenze, non facili ma comunque meravigliose. In questo senso la sensibilità di Gesù è molto significativa e commuovente.

Emerge molto chiaramente nel Vangelo di oggi: dalla sua sensibilità deriva la capacità di sapere quando presentarsi, quando intervenire in una situazione di crescente paura e confusione presenti in tutti i racconti degli evangelisti riguardo al post-passaggio: proprio dove l’angoscia sta crescendo, appare – all’improvviso, di punto in bianco – il Signore Gesù. E, per inciso, li saluta con un augurio di pace: Shalom (Pace a voi!).

Ma non è tutto. Apparso nel momento più necessario, Gesù interviene direttamente nel cuore dei dubbi e delle paure. Li nota, li interroga, cerca di disinnescarli con intuizioni o proposte concrete. In questo è dolce e discreto, ma anche concreto e inequivocabile. A poco a poco, invita ad interagire, a impegnarsi a scoprire la verità, ad incontrarlo. E lo fa in modo espressivo, nonostante la chiusura mentale dei discepoli. È una sorta di pedagogia terapeutico-formativa. È molto attiva, creativa – è incessante nella ricerca di nuovi argomenti per raggiungere, convincere, aprire e motivare il destinatario timoroso. Così, accanto alle parole, c’è la suggestione del tatto e anche la dimostrazione della concretezza della vita: la capacità di mangiare. È come se Gesù pensasse alle generazioni successive alle prese con il mistero della risurrezione.

Infine, tutto si lega, come una fibbia, con un appello alla memoria – e quindi, indirettamente, alla ragione: si ricordano le predizioni e le parole della Scrittura che parlano della sofferenza e della risurrezione del Messia, mostrando ai discepoli il loro ruolo. Molto significativo, e per altro verso impressionante, è questo impatto multicanale sui discepoli, il tentativo di raggiungerli da diverse angolazioni – anche se l’Evangelista menziona solo l’apertura della mente per comprendere le Scritture. Sentiamo, però, che in gioco c’era qualcosa di più, un impegno personale e integrale; solo così si può avere dare una testimonianza convincente a cui, del resto, il Signore Gesù chiama.

La storia della Chiesa ha mostrato quali effetti hanno avuto gli sforzi compiuti dal Signore Gesù. Lo Spirito Santo ha completato il resto. L’intera situazione, tuttavia, è una lezione impareggiabile sulla cura efficace degli altri e sulla consolazione fruttuosa degli altri. Presenza, sensibilità, intelligenza, creatività, interazione, impegno integrale: questi sono i mezzi e i metodi che vanno imparati dal Signore Gesù. Dopo tutto, ogni paura umana non si riduce forse alla mancanza di comprensione della magnificenza della Risurrezione? Se credessimo veramente nella potenza del Signore Gesù e nella grandezza della sua opera di salvezza, potremmo temere qualcosa? La testimonianza cristiana in questi tempi così densi di paura non dovrebbe seguire la sua stessa linea pasquale, cioè l’annuncio sensibile e saggio della buona notizia della Risurrezione in ogni angolo della desolazione umana?